I verbali ispettivi del Lavoro sono bombe a pigna: un solo accertamento scatenare troppi fronti contenziosi. è un trattamento disumano?
La panoramica giuridica richiede alcune riflessioni sui verbali ispettivi.
Un pò di storia dei verbali ispettivi

Fino all’entrata in vigore della legge 24 novembre 1981 n. 689 (c.d. Legge sulla Depenalizzazione) le varie leggi previdenziali e del lavoro comportavano responsabilità penale.
Fino al 1982 tutto veniva deciso in un unico processo.
Il Giudice Penale decideva, nell’ambito di un solo procedimento, tutte le questioni.
Una delle decisioni pregiudiziali, spesso, in materia di lavoro e previdenza, è la presenza del rapporto di subordinazione.
Se c’è subordinazione le sanzioni si applicano, se non c’è subordinazione no (tranne che in alcune eccezioni).
Quello che fino all’entrata in vigore della legge 689/81 (giugno 1982) si concludeva con un unico giudizio, successivamente è stato smistato su vari fronti.
Cosa è avvenuto nel 1982?
E’ rimasta ferma la struttura penale di alcune violazioni che ancora trovano una loro allocazione nella sede penale (per fare qualche esempio l’art.lo 37 della legge 689/81 od il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali introdotto negli anni successivi con il decreto legge 463/83 convertito con la legge 638/83 e modificato in ultimo con l’art.lo 3 del D. L.vo n. 8/2016 e Cass. Sez. Unite 7 marzo 2018 n. 10424).
E’ invece stata frammentata la struttura di tutte la altre violazioni secondo uno schema che la legge 689/81 aveva inserito nei commi 2 e 3 dell’art.lo 35 per le violazioni connesse al versamento dei contributi e nel comma 7 per le violazioni non connesse con il versamento dei contributi.
Ne è conseguito che per alcuni decenni a fronte di una stessa posizione ogni ente di assicurazione o previdenza od assistenza era diventato titolare, oltre che del premio e dei contributi, anche dei procedimenti di contestazione e di riscossione di alcune sanzioni amministrative.
Alle sanzioni amministrative si aggiungevano poi le sanzioni civili e gli interessi previste dalla altre leggi speciali (attualmente, per le sanzioni civili, vige la legge 388/2000).
Dette sanzioni civili erano state addirittura articolate su soglie minime di € 3.000,00 per ciascun ente e posizione al punto tale che un datore di lavoro si poteva vedere addebitare, oltre alle sanzioni amministrative (es. la c.d. maxisanzione), anche 6.000,00 per un’ora di lavoro al nero assoggettabile ad INPS ed INAIL.
La Corte Costituzionale ha rivisto la previsione di tale soglia minima in quanto non teneva conto della effettiva gravità dei fatti risultando non proporzionata alle circostanze specifiche.
Verbali ispettivi: la situazione oggi
La posizione del datore di lavoro è sempre di più esposta alla frammentazione dei procedimenti contenziosi scaturenti da un accertamento ispettivo del lavoro.
Rimangono le procedure penali per i casi di presunta evasione contributiva già previsti dall’art.lo 37 della legge 689/81 od il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali introdotto negli anni successivi con il decreto legge 463/83 convertito con la legge 638/83.
Sono confluite nelle competenze dell’ispettorato Nazionale del Lavoro tutte le contestazioni delle sanzioni amministrative a prescindere dalla loro connessione o meno alla contribuzione obbligatoria.
Gli Ispettori degli enti di previdenza ora sono collocati in un ruolo ad esaurimento come fossero ispettori dell’INL, in realtà funzionalmente operano ancora sotto il diretto controllo delle sedi degli istituti ed a questi rispondono e riferiscono.
Mai è stato sviluppato l’art.lo 8 della legge 689/81 al punto da dare alla norma uno stabile indirizzo orientato all’economicità dell’azione amministrativa ed al rispetto del diritto di difesa.
Tale articolo, con il titolo “Più violazioni di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative” dispone infatti che ” … chi con un’azione o un’omissione viola diverse disposizioni che prevedono sanzioni amministrative o commette più violazioni della stessa disposizione soggiace alla sanzione prevista per la violazione più grave, aumentata sino al triplo.” e che “Alla stessa sanzione … soggiace anche chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno posto in essere in violazione di norme che stabiliscono sanzioni amministrative, commette, anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse norme di legge in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie.”.
L’orientamento delle prassi e della giurisprudenza è nel senso che l’istituto del cumulo giuridico non risulta applicabile alle violazioni amministrative in materia lavoristica.
Quello che sembrava essere l’intento del legislatore trova oggi giustificazioni che non possono non apparire discriminatorie nei confronti della categoria datoriale (vedasi ad esempio una delle tante pronunce tra cui Cass. sentenza 3 ottobre 2017 n. 23054 sul cumulo giuridico).
A questo orientamento devono essere aggiunti episodi di sforamento delle soglie di massima sanzione civile e di decorrenza degli interessi sui contributi calcolati dagli enti previdenziali ed anche l’entrata in vigore delle norme che danno la possibilità, per l’Ispettorato del lavoro, di sospendere immediatamente l’attività dell’impresa in alcuni casi specifici, ma non sempre oggettivamente apprezzabili.
Appare utile citare anche l’entrata di vigore sia del decreto 124/2004 che del D.M. 30 gennaio 2015 i quali anno rispettivamente previsto sia la possibilità, per gli ispettori del lavoro, di emettere le diffide accertati che di procedere con attività capaci di bloccare il DURC delle imprese.
Ma cosa accade con la diffida accertativa?
Quando l’Ispettorato del Lavoro ritiene che il lavoratore abbia diritto ad un maggior trattamento economico può notificare al datore di lavoro una diffida accertativa per ciascun dipendente al quale il maggior trattamento fa riferimento.
E’ possibile quindi immaginare quale possa essere la sorte del datore di lavoro a fronte della folta giungla di contratti collettivi sui quali certe autorità si sono arrogate il diritto non solo di stabilire il CCNL più rappresentativo su base nazionale ai fini contributivi, ma addirittura hanno eletto certa contrattazione a contratti Erga Omnes anche ai fini economici (vedasi circolare INL n. 3/2007 e successive) ripristinando il soppresso sistema dei contratti corporativi dei disciolti sindacati degli anni ’40.
Così facondo certe istituzioni sembra che intendano sconfinare addirittura, attraverso l’estensione dell’obbligo di versamento ad enti bilaterali canalizzati dalla autorità, nell’ambito di un più raffinato sistema di oculato e sottile finanziamento pubblico ad alcuni sindacati.
La questione è già stata trattata da questo studio in riferimento alle casse edili, enti bilaterali di nome, ma nella sostanza soggetti ben poco trasparenti e molto discutibili sotto il profilo funzionale ed economico soprattutto quando ricevono denaro da soggetti non associati ed obbligati dal sistema organi di vigilanza – DURC, obbligati ad aderire e versare somme mensili non solo a titolo restitutivo (accantonamenti di 13°, ferie e permessi), ma di contributi che si aggirano intorno ai 2.000,00 Euro/anno per ciascun operaio. Se nella sola edilizia i posti di lavoro sono circa 1,5 milioni, il conto annuo delle entrate degli enti bilaterali per la sola edilizia, è presto fatto.
Evidente che l’intervento degli ispettori è capace di deviare un rilevante flusso economico destinato alle associazioni alle quali le parti avrebbero dovuto avere piena libertà di adesione e scelta, ma è un dato assodato che l’eventuale opposizione alla diffida accertativa non può essere opposta all’ufficio procedente (al quale può essere proposta opposizione in sede amministrativa salvo conciliazione con il lavoratore), bensì solo uno per uno a ciascun lavoratore che su quella diffida accertativa ha fondato e notificato un precetto.
Ne consegue che il datore di lavoro, se e quando destinatario di cinquanta diffide accertative, dovrà opporsi a tutte e cinquanta presentato per ciascuna di esse, un ricorso al Giudice del Lavoro competente.
L’eventualità di cinquanta diffide accertative potrebbe apparire esagerata, ma non è così.
Infatti una azienda che negli ultimi cinque anni ha avuto una successione di rapporti di lavoro sia a tempo determinato seguiti da licenziamento che a termine, pur avendo in forza solo 7/8 dipendenti, ben può essere destinataria di un così elevato numero di provvedimenti.
Ne consegue che a fronte di un solo accertamento ispettivo il datore di lavoro con 7/8 dipendenti, solo per poter fare valere le sue ragioni, è talvolta costretto ad instaurare anche più di 50 contenziosi amministrativi, civili e talvolta anche penali.
Di fronte a tanta barbarie giuridica è veramente difficile (al di là di quello che può apparire interesse per la categoria degli avvocati), ritenere tale sistema coerente con un moderno stato di diritto.
Una profonda riflessione è d’obbligo.
I fondamentali diritti dell’imprenditore
Di fronte ad un così esteso conflitto, il diritto alla difesa conseguente ad accertamenti giunti a conclusioni errate, l’ingiustizia è talmente evidente al punto da non poter assolutamente evitare una banalissima riflessione sulla possibilità che tutto questo violi i fondamentali diritti umani per discriminazione contro la figura dell’imprenditore.
Non è quindi difficile comprendere come mai le aziende straniere sono molto più interessate ad investire in Italia per far morire le aziende che non a farle vivere.
E’ evidente che gli investitori hanno molta più convenienza a chiudere gli stabilimenti nel territorio nazionale italiano per riaprire con le stesse tecnologie e parco clientela, in ambiti più coerenti e rispettosi del diritto di difesa dell’impresa sulla quale investono.

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