Sospensione ritenute – il dietrofront dell’INPS


L’INPS fa dietrofront sulle ritenute in controtendenza con gli interventi a favore delle imprese.

Con la circolare n. 37 del 12 marzo 2020 l’INPS aveva fornito indicazioni in merito alla sospensione degli adempimenti e dei versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali disposta con il decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9, precisando che “La sospensione contributiva fino al 30 aprile 2020 degli adempimenti e dei versamenti contributivi è concessa ai predetti soggetti, ivi compresa la quota a carico dei lavoratori dipendenti. Il datore di lavoro privato o il committente sono responsabili del versamento della quota a carico del lavoratore e, pertanto, nel caso in cui usufruiscano della sospensione contributiva, sarà sospesa sia la quota a proprio carico sia quella a carico del lavoratore dipendente. Il datore di lavoro o il committente che sospende il versamento della contribuzione, ma che contemporaneamente opera la trattenuta della quota a carico del lavoratore, è tenuto obbligatoriamente a versare quest’ultima alle ordinarie scadenze legali di versamento”.

L’INPS, con il messaggio 1373 del 25 marzo 2020, riprende in mano la questione considerando le indicazioni richieste al Ministero del Lavoro e delle politiche sociali che avrebbe, secondo il nuovo messaggio, riponderato il parere precedentemente espresso in ordine ai contenuti nella circolare INPS 37/2020.

Il riversamento delle ritenute previdenziali è la questione centrale della vicenda

il nuovo messaggio specifica:

“In particolare, posto che l’articolo 61, commi 2 e 5, del decreto-legge n. 18/2020 ha esteso quanto previsto dall’articolo 8, comma 1, lett. b), del decreto-legge n. 9/2020 ad una serie di attività che, per quanto tassativamente individuata, amplia in maniera importante l’originaria delimitazione della disciplina e che lo stesso articolo è espressione del carattere emergenziale e straordinario del nuovo decreto, su indicazione del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali la disposizione dell’art. 8, comma 1, lett. b), del decreto-legge n. 9/2020 deve essere interpretata in modo restrittivo per due ordini di considerazioni:

– per la sua formulazione letterale pare potersi riferire a tutti i versamenti e, pertanto, non sembrerebbe poter essere derogata in relazione alla circostanza che le trattenute siano già state effettuate dal datore di lavoro;

– i presupposti della sospensione, estesa ad una platea di destinatari più ampia, nonchè le conseguenze e gli impatti sulle condotte di coloro che sono chiamati ad effettuare i versamenti sono stati valutati dal legislatore d’urgenza in modo differente rispetto al momento della stesura dell’articolo 8 del decreto-legge n. 9/2020, essendo in presenza di una situazione epidemiologica molto più grave con inevitabile diminuzione della capacità economica dei singoli.

Il favor nei confronti dei creditori di imposta, che informa tutto il decreto-legge n. 18/2020, ha indotto quindi a ritenere che la sospensione degli adempimenti e dei versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali comprenda anche quelli relativi alla quota a carico dei lavoratori dipendenti, fermo restando l’obbligo di riversamento all’Istituto entro la data di ripresa dei versamenti in un’unica soluzione, senza applicazione di sanzioni e interessi, o mediante rateizzazione, fino ad un massimo di cinque rate mensili di pari importo, senza applicazione di sanzioni e interessi.

Il medesimo favornei confronti dei creditori d’imposta induce a ritenere sospeso anche il termine di tre mesi, decorrente dalla data di notifica, assegnato con gli atti di accertamento di violazione ex articolo 2, comma 1 bis, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, e s.m.i., notificati prima dell’inizio dell’emergenza, ove il predetto termine sia interessato dalla sospensione disposta da una delle norme emergenziali (articoli 5 e 8, comma 1, lett. b), del decreto-legge n. 9/2020 e articoli 61, commi 2 e 5, e 62, comma 2, del decreto-legge n. 18/2020). In questo caso, alla cessazione del periodo di sospensione, riprenderà a decorrere il termine di tre mesi assegnato con l’atto di accertamento già notificato.

Le indicazioni contenute nella circolare n. 37 del 12 marzo 2020, paragrafo 1., si intendono in tal modo adeguate.”

La questione deve essere valutata alla luce di varie considerazioni che non possono prescindere da un sistema sempre più articolato che non consente più di continuare a tollerare una burocrazia sempre più incardinata su complessità contabili che, pur partendo da logiche sostenibili, nulla hanno a che vedere con la realtà.

L’assurdità dei sistemi di sostituzione di imposta e di contribuzione a carico dei lavoratori che passano di mano e finiscono a carico del datore di lavoro sono una trappola mortale per le imprese che si ritrovano non solo ad accollarsi, di fatto, di oneri altrui, ma che rischiano anche procedimenti penali su presupposti mancanti di logicità pratica.

La mancanza di incassi, come nel caso della crisi COVID-19, pone il problema del pagamento delle retribuzioni che molte aziende non saranno in grado di corrispondere per causa di forza maggiore.

Si deve considerare che l’omesso versamento delle ritenute previdenziali è un “delitto”.

Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27641 depositata il 26 giugno 2003 ha stabilito che “Il delitto di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali non è configurabile a carico del datore di lavoro nel caso di mancata corresponsione della relativa retribuzione ai dipendenti”.

Il delitto però si configura se il lavoratore riceve anche solo un acconto (Vedasi in senso uniforme la sentenza della Corte di Cassazione 39043 depositata il 28 agosto 2018).

Per assurdo viene quindi premiato l’imprenditore che non paga nessuno rispetto a chi, avendo risorse limitate, cerca di fare il possibile; quello più onesto.

Se le sue possibilità sono quindi limitate ad una sola parte di retribuzione e non ha fondi sufficienti per versare anche quella parte che contabilmente sono considerate ritenute (ma che in realtà sono denari che comunque escono dalle casse datoriali) commette un delitto e sarà sottoposto, se non ha fondi sufficienti per adempiere alla successiva diffida di versamento entro tre mesi, ad un procedimento penale.