Nel panorama degli inquadramenti lavorativi, in linea di massima sono possibili, per l’amministratore, tre tipi di classificazione.
- Lavoro dipendente,
- lavoro come titolare o collaboratore in gestione IVS commercianti
- e lavoro in regime di gestione separata laddove ricopra l’incarico di amministratore.Nel lavoro in regime di gestione separata rientrano le attività tipiche dell’amministratore (redazione bilanci, gestione e coordinamento ecc…).
Tale attività è sostanzialmente diversa da quella presa in considerazione dalla gestione IVS commercianti o dipendente.
La regolarità contributiva nei casi in cui l’amministratore opera in tale veste per più società può generare confusione in termini di DURC dell’amministratore .
In cosa consiste l’attività dell’amministratore secondo la Corte di Cassazione
L’attività di amministratore è regolata dalla norme sul mandato e le stesse prevedono come principale obbligo quello della gestione sociale.
A questo proposito la Cass. Sez. Unite 3240/2010 precisa che “non può farsi rientrare nell’incarico di amministratore solo il compimento di atti giuridici, poiché all’amministratore è affidata la gestione della società e dunque una attività di contenuto imprenditoriale che si estrinseca nell’organizzazione e nel coordinamento dei fari fattori di produzione, comprendendovi sia il momento decisionale vero e proprio sia quello attuativo delle determinazioni assunte.”
Si deve pertanto chiarire di volta in volta quale sia il ruolo di fatto dell’amministratore e quali gli obblighi di legge previsti dagli art.li 2380 bis e ss. c.c.
Si specifica inoltre che, l’attività di amministratore, è attività – necessariamente -continuativa.
La sopra riportata sentenza continua specificando che “gli elementi caratterizzanti il ruolo di amministratore si distinguono da quelli richiesti per la gestione commercianti. Invero detta assicurazione è posta a protezione, fin dalla sua iniziale introduzione non già dell’elemento imprenditoriale del lavoratore autonomo – sia esso commerciante, coltivatore diretto o artigiano – ma per il fatto che tutti costoro sono accumunati ai lavoratori dipendenti dall’espletamento di attività lavorativa abituale, nel suo momento esecutivo, connotando tale impegno personale come elemento prevalente.” Cass. Sez. Unite 3240/2010.

Le aziende commerciali o ad esse assimilate richiedono, in caso di attività lavorativa di un amministratore di srl, l’iscrizione alla gestione IVS commercianti, a condizione che l’attività lavorativa che ne caratterizza i tratti tipici, sia svolta con abitualità e prevalenza (E’ quindi opportuno sottolineare fin da subito che questa problematica distintiva tra attività rientrante nella gestione separata o nella c.d. IVS gestione commercianti riguarda solo quelle attività di tipo commerciale o considerate tali. Devono quindi essere escluse, ad esempio, le aziende industriali.).
Amministratore di Srl: i rischi in caso di accertamento ispettivo
Della questione abbiamo già trattato in un precedente articolo nel quale si palesava la possibilità di subire, da parte dell’INPS, un reinquadramento con relativo addebito dei contributi.
Nel caso di una pretesa relativa a contributi IVS commercianti l’INPS deve provare che il socio lavora effettivamente in azienda.
Il problema dell’assoggettabilità alla doppia contribuzione
E’ prevista anche la doppia contribuzione nei casi in cui coesistono le attività che ne caratterizzano, per ciascuna, i tratti tipici..
Premesso tutto quanto sopra appare evidente la necessità di capire bene, di volta in volta, se l’attività lavorativa (quella di amministratore di sui si è sopra detto o quella di socio lavoratore o addirittura di lavoratore subordinato), possano ed entro quali limiti assumere una connotazione a prevalenza subordinata o autonoma e fino a che punto queste diverse vesti possono coesistere sotto il profilo dell’inquadramento previdenziale.
Si deve premettere che non esiste una disciplina che esclude univocamente la possibilità che l’amministratore possa rivestire anche la figura del dipendente, tuttavia una indicazione perviene da alcune pronunce della Corte di Cassazione Civile che con la sentenza della sezione lavoro del 17/11/2004, n. 21759 Soc. Angelucci metalmeccanica OMA C. Inps (DeG – Dir. e giust. 2005, 1, 72 Lavoro nella giur. 2005, 378) ha precisato che:
– “la qualità di socio ed amministratore di una società di capitali composta da due soli soci, entrambi amministratori, è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato, anche a livello dirigenziale, ove il vincolo della subordinazione risulti da un concreto assoggettamento del socio dirigente alle direttive ed al controllo dell’organo collegiale amministrativo formato dai medesimi due soci. Ne deriva che l’amministratore di una società di capitali può assumere la qualità di dipendente della stessa qualora non sia amministratore unico (anche se solo di fatto) ma membro di un consiglio, ancorché investito di mansioni di consigliere delegato, in modo che la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro siano ricollegabili ad una volontà della società distinta da quella del singolo amministratore”.
In quali casi si può ritenere scarsamente sostenibile la posizione dell’amministratore anche come dipendente
Sembra chiaro, pertanto, che si debba escludere ogni contestuale subordinazione quando ci si trova di fronte ad un amministratore unico.
Irrilevante appare la circostanza che sia stato nominato o meno durante il rapporto di lavoro.
Se invece l’amministratore fa parte di un consiglio di amministrazione assumono rilievo sia l’esistenza o meno di una ristretta base sociale (ove rilevabile sarebbe da considerare anche ai fini dei riflessi in caso di contenzioso tributario) sia il dato di subordinazione nonché la delega alla gestione del personale.
Questo significa che la dimensione della posizione subordinata è difendibile ogni volta che possa essere documentato e dimostrato con assoluta certezza un assoggettamento del co – amministratore al potere direttivo e disciplinare da parte di un organo superiore. In altre parole si dovrebbero tirare fuori oltre a tutte le disposizioni che sono via via state impartite all’amministratore, anche eventuali procedimenti o provvedimenti disciplinari.
Sotto il profilo probatorio e difensivo in caso di verbale ispettivo tale possibilità risulta, anche per i rapporti che di solito intercorrono tra i soggetti interessati, particolarmente gravosa.
Se, in caso di accertamento, uno degli enti preposti alla vigilanza dovesse orientarsi per l’assenza di subordinazione, tutte le prestazioni economiche a titolo di retribuzione sarebbero censurate ed assoggettata ad un diverso regime assicurativo e previdenziale.
Come interpreta la questione l’agenzia delle Entrate
Tale rischio è amplificato dalla possibilità che il reddito assoggettato a contribuzione come lavoro dipendente, di fatto, sarebbe riconsiderato come utile dalla società e considerato come redistribuito ai soci e amministratori a quel diverso titolo. La prassi fa riscontrare che l’INPS di solito ignora completamente la circostanza che si tratti di srl che hanno o non hanno optato per la trasparenza di cui all’art.li 105 e 106 del TUIR e procede al recupero contributivo anche nei confronti degli altri soci amministratori iscritti nella gestione IVS commercianti.
Deducibilità – Cosa ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 36362 del 23 novembre 2021
Secondo la Corte di Cassazione il costo del lavoro dipendente sostenuto dalla società nei confronti di un soggetto che riveste anche la qualità di amministratore (nel caso esaminato si tratta di una cooperativa) è rilevante il rilievo di un concreto vincolo di subordinazione che non può quindi essere presunto.
Il caso
La Commissione tributaria regionale della Sardegna accoglieva parzialmente l’appello presentato dalla Cento Società Cooperativa a r.l. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Cagliari (n.129/2/2012), che aveva rigettato sia il ricorso presentato dalla società contro l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti, ai fini Ires, per l’anno 2006, sia i ricorsi presentati dal Antonio Sardu e Valentino Rocchi, soci ed amministratori della società, contro il silenzio rifiuto formatosi sulle rispettive istanze di rimborso Irpef, per il medesimo anno. In particolare, per quel che ancora qui rileva, il giudice d’appello annullava il rilievo n. 8 dell’avviso di accertamento, dichiarando inerenti e deducibili i compensi da lavoro corrisposti dalla società ai soci Sardu e Rocchi.
Per la Commissione regionale sussisteva il requisito della inerenza dei costi, trattandosi di compensi erogati dalla società ai soci per le operazioni di ordinaria e straordinaria amministrazione prestate a favore della società di appartenenza.
Si è costituita in giudizio l’Agenzia delle entrate deducendo la “violazione e falsa applicazione dell’art. 109, quinto
comma, del d.P.R. n. 917 del 1986, nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.”, in quanto l’Ufficio aveva contestato, da un lato, che risultava mancante il vincolo di subordinazione tra datore di lavoro e dipendente, godendo Antonio Sardu di autonomia decisionale, mentre Valentino Rocchi era presidente del consiglio di amministrazione della società, non essendo quindi ammessa la contemporanea presenza dell’attività di lavoro subordinato; dall’altro che mancava il requisito della diversità delle mansioni tra il soggetto amministratore e il soggetto che assume la veste di lavoratore subordinato. Il giudice di appello, invece, si è limitato ad affermare
l’inerenza dei costi, senza preoccuparsi della diversità o meno delle mansioni svolte nella duplice qualità di amministratori e lavoratori subordinati.
Il ragionamento dell’agenzia delle entrate è stato ritenuto fondato il quanto il presidente del consiglio di amministrazione, essendo munito della rappresentanza generale della società, non poteva rivestire contemporaneamente la figura del lavora subordinato poiché il potere di rappresentanza equivaleva al potere di controllo, con la conseguente incompatibilità delle due cariche.
Per l’altro amministratore, invece, ha preso atto delle risultanze degli atti secondo le quali, non doveva rispondere del suo operato ad alcun superiore gerarchico e quindi anch’esso non poteva essere considerato lavoratore subordinato.
Pertanto, a fronte della ripresa fiscale n. 8, per “indebita deduzione di costi non inerenti”, per “stipendi e contributi”, per euro 195.368,26, quale quota indeducibile, riferita al saldo contabile di euro 536.200,76, veniva contestata alla società, ai fini Ires, l’erronea deducibilità della somma.
La sentenza della Corte di Cassazione 36362 del 2021
CASSAZIONE SENTENZA N. 36362-2021
- Indennità di trasferta. Legittimità, vertenze e controlli. - 2 Ottobre 2023
- agevolazioni contributive assunzione - 25 Settembre 2023
- Contributi a percentuale. La Corte di Cassazione afferma che sono da assoggettare a contributo IVS anche i canoni di locazione di altre società del lavoratore autonomo - 21 Settembre 2023