Sicurezza del lavoro e responsabilità del committente in ambito infortunistico-lavorativo per omissione informativa sui rischi specifici alla quale espone i dipendenti della ditta appaltatrice.
la casistica che ha motivato normativa e giurisprudenza nei casi di omicidio colposo
Particolarmente densa di situazioni limite è la casistica che in questi decenni ha occupato le prime pagine delle cronache giornalistiche al punto che qualche considerazione è meritevole.
Una delle casistiche più eclatanti è relativa agli ambienti confinati i quali spesso nascondono insidie per potenziale asfissia, intossicazione o, addirittura, esplosione.
La casistica ci porta spesso a considerare casi eclatanti per il numero delle maestranze coinvolte e per la dinamica che spesso ci rende tristemente partecipi alla commozione che suscitano certe situazioni.
Uno dei casi più frequenti è l’accesso a luoghi nei quali si sono prodotti gas asfissianti od intossicanti da parte di un lavoratore. Questo chiama aiuto e si accascia, arriva il collega per soccorrerlo ed anch’egli chiama aiuto e si accascia, continua così anche il terzo e così avanti fino a quando qualcuno si rende conto che il problema non è legato alla persona ma all’ambiente che ha una saturazione di gas irrespirabili.
Più rumoroso è il caso dell’ambiente che, saturo di sostanze infiammabili, è soggetto ad esplosione.
Tuttavia quando si pensa all’ambiente capace di esplodere tutti pensano al gas o prodotti volatili simili, ma non è sempre così facile immaginare cosa possa o non possa esplodere.
A chi verrebbe in menti di pensare alla farina; eppure la farina ben asciutta e sospesa in aria ad una concentrazione elevata è una miscela esplosiva temibile quanto le bombole del gas. In questi casi di parla di miscele esplosive e le tristi esperienze non mancano.
Il ruolo del committente e la sua rilevanza nell’evento che ha dato luogo all’accusa di omicidio colposo
Ci sono tipologie di eventi che potevano essere evitati se il committente avesse chiarito quei rischi specifici che l’intervento richiesto presentava.
Un’impresa che invia il suo personale a seguito di una richiesta non sempre è in grado di conoscere la pericolosità specifica dei rischi che un certo ambiente a lei sconosciuto implica.
I rischi possibili sono veramente tanti e non è concepibile che chi è chiamato possa prevederli tutti; che si tratti di un rischio elettrico, un rischio di radiazioni, un rischio di frana ecc… poco importa, quello che conta è la possibilità che una qualunque persona possa percepirne, senza difficoltà, il pericolo.
La percezione del pericolo avviene attraverso la segnaletica quando è stata apposta, ma anche in presenza di segnaletica è necessario che il committente faccia qualcosa in più.
Per questo motivo abbiamo ritenuto di illustrare e seguire non una serie di massime, ma una parte del ragionamento che le varie corti chiamate a decidere, seguono per arrivare a decidere sulla colpevolezza o mento del comportamento di uno dei soggetti che potevano incidere sulla dinamica dell’evento sia in termini di committenza che di detentori della preventiva conoscenza del pericolo.
la recente tendenza delle corti di giustizia tra dato cartaceo e committenza di fatto nei casi di omicidio colposo
Ultimamente della responsabilità del committente si sono occupate varie corti di giustizia tra le quali anche la sentenza Cass. Penale Sez. 4 n. 28724 / 2021.
Prenderemo quindi in esame alcuni passaggi utili non tanto ad estrarre una parte dei ragionamenti (c.d. massime) quanto una serie di concatenate illustrazioni espositive contenute nei passaggi della sentenza che ci potranno meglio addentrare nelle logiche giudiziarie che oscillano in ambiti che vanno dalla valutazione sostanziale a quella formale.
Occorre considerare, secondo quanto lascia trasparire detta sentenza, che l’inadempimento, da parte dell’imputato (quale responsabile della società committente), degli obblighi di valutazione e di analisi degli specifici rischi indotti (nel caso specifico dalla giacenza di olio di sansa grezza nei serbatoi aziendali) può derivare dal mancato reperimento di un documento dal quale potesse desumersi l’avvenuta valutazione dell’eventuale presenza di esano nell’olio di sansa grezza (quanto meno prevedibile in forme di tracce o residui più o meno rilevanti sul piano quantitativo, avendo i giudici di merito specificamente accertato come la presenza dell’esano nell’olio di sansa grezza fosse a tutti nota e unanimemente confermata anche a pag. 155 della sentenza d’appello), ovvero l’avvenuta adozione delle misure di prevenzione necessarie al fine di scongiurare il rischio della formazione e della deflagrazione di miscele esplosive nei serbatoi contenenti olio di sansa.
Conseguentemente, proprio l’imprudente omessa valutazione dei rischi a monte del processo produttivo ha comportato la successiva palese omissione dell’obbligo informativo nei confronti della ditta appaltatrice, a nulla valendo l’eventuale generica consapevolezza, da parte del lavoratore, della pericolosità dell’uso di fiamme libere all’interno dell’area aziendale (vietate mediante l’apposizione di cartelloni), ovvero della pericolosità del ricorso alla tecnica della saldatura sui serbatoi aziendali, dovendo l’obbligo informativo del committente estendersi alla dettagliata e compiuta analisi dei rischi specifici inerenti le lavorazioni conferite in appalto, ossia a tutte quelle situazioni e insidie che, dipendendo proprio dal luogo di lavoro e dalla natura dei materiali esistenti, devono essere poste a conoscenza dell’appaltatore affinché questi possa regolarsi di conseguenza.
Del tutto opportunamente, d’altro canto, la corte territoriale ha evidenziato come, in relazione all’esistenza dei rischi concretamente oggetto d’esame, il committente non avrebbe mai potuto disgiungere le proprie responsabilità da quelli gravanti sull’appaltatore, trattandosi nella specie di rischi immanenti al deposito di olio di sansa grezza, comportante pericoli incombenti, non solo sui lavoratori della ditta appaltatrice, ma più in generale su tutte le persone presenti nell’area aziendale e nelle sue immediate vicinanze, stanti le intuibili conseguenze (tutte purtroppo verificatesi) di un’esplosione del serbatoio e di un conseguente incendio.
la rilevanza dei rischi propri dello specifico ambiente di lavoro
Alla grave omissione concernente la trasmissione, nei confronti dell’appaltatore, delle informazioni concernenti i rischi propri dell’ambiente di lavoro, si è inoltre associata l’omissione riguardante la collaborazione nell’apprestamento delle misure di protezione e di prevenzione a tal fine necessari, avendo anzi la corte territoriale eloquentemente sottolineato come la realizzazione, da parte della ditta appaltante, del sistema delle passerelle attraverso l’utilizzo di modalità inidonee e pericolose, fosse stata già pienamente accettata dalla committenza, che non ebbe a muovere alcun rilievo di sorta rispetto alla saldatura delle passerelle già così compiutamente realizzate “alla luce del sole”.
Ciò posto, sulla base di linee argomentative pienamente coerenti e logicamente inappuntabili, i giudici d’appello hanno scandito i diversi passaggi del giudizio controfattuale relativo al nesso di causalità tra le omissioni dell’imputato e l’evento lesivo in concreto verificatosi, sottolineando come, là dove l’imputato avesse concertato modalità operative e predisposto misure prevenzionali idonee – successivamente esercitando il dovuto controllo a fronte del plateale utilizzo di strumenti pericolosi – il sinistro sarebbe stato certamente scongiurato, dovendo ritenersi che in concreto fu proprio l’utilizzo di una saldatrice a determinare l’innesco della miscela esplosiva formatasi all’interno del serbatoio n. 95, propiziata anche dalla mitezza della temperatura in loco.
Allo stesso modo, del tutto correttamente la corte territoriale ha evidenziato come, nel caso in cui il lavoratore fosse stato reso consapevole della natura e della consistenza effettiva dei rischi specifici esistenti, lo stesso si sarebbe ben guardato dal far ricorso all’uso di saldatrici o comunque dall’operare con quelle modalità, essendo impensabile che potesse altrimenti esporre se stesso e gli altri suoi dipendenti ad un pericolo mortale a quel punto talmente elevato.
Proprio con riguardo alla valutazione della rilevanza causale delle condotte omissive contestate al lavoratore (nella specie revocata in dubbio dall’imputato, sul presupposto della prevedibilità della condotta imprudente che sarebbe stata seguita in ogni caso dalla vittima, quand’anche tempestivamente allertato), osserva il collegio come, con riguardo al tema dedotto (riconducibile al quadro teorico della c.d. causalità della colpa), valga richiamare i principi generalmente condivisi, tanto nella giurisprudenza pratica quanto nella riflessione della letteratura giuridica, in tema di colpa c.d. ‘relazionale’, ossia là dove la ricostruzione del comportamento alternativo lecito sia condotta (non già in un contesto monosoggettivo, bensì) nella prospettiva dell’interazione (e dunque della ‘relazione’) tra due o più soggetti.
Le esemplificazioni di scuola alludono, al riguardo, a tutte quelle situazioni in cui il datore di lavoro è tenuto a ispirare la propria condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza. L’art. 2087 cod. civ., infatti, nell’affermare che l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa misure che, secondo le particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, sollecita obbligatoriamente il datore di lavoro ad aprirsi alle nuove acquisizioni tecnologiche (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 7402 del 26/04/2000, Rv. 216476).
Sempre secondo la sentenza n. 28724 precedentemente citata nel quadro di tale discorso, la corte territoriale ha opportunamente sottolineato come l’azienda di olii non avesse mai apprestato alcun meccanismo di prevenzione circa i rischi di incendio, non essendo stato indicato alcun pericolo di incendio in relazione all’esano disciolto nell’olio di sansa contenuto nei serbatoi; questi ultimi erano privi di dispositivi tali da favorire la dispersione di sovrappressioni e altresì carenti sul piano strutturale in relazione al rischio di cedimenti; nessuno strumento era stato realizzato per la segnalazione della formazione di miscele esplosive o per l’inertizzazione delle stesse, né erano stati creati bacini esterni di contenimento o impianti idrici antincendio dimensionati in relazione a incendi di serbatoi e bacini di notevoli proporzioni; lo stesso certificato di prevenzione-incendi era scaduto, né era stata introdotta una modifica quantitativa del precedente sistema tale da adeguarlo in rapporto al consistente aumento del numero dei serbatoi verificatosi medio tempore.
il principio di rimproverabilità a carico dell’imputato
Si tratta di considerazioni legate all’approfondimento dei tradizionali canoni della colpa generica che la corte territoriale risulta aver elaborato nel rispetto di un’adeguata misura di coerenza logica e linearità argomentativa, sì da attestare in termini ragionevoli la sicura rimproverabilità, a carico dell’imputato (in ragione dell’esigibilità, dallo stesso, dei comportamenti alternativi omessi), della mancata analisi dei rischi connessi allo svolgimento dei processi produttivi governati e alla trascurata gestione degli stessi rischi: considerazioni alle quali l’accenno, contenuto nella sentenza impugnata, ai diversi parametri normativi di colpa specifica eventualmente richiamabili nulla aggiungono di diverso o decisivo, per tale via dovendo ritenersi integralmente assorbita ciascuna delle censure sollevate dall’imputato e dal responsabile civile (ancora con la memoria depositata dai difensori del lavoratore in data 14/5/2015) in ordine all’asserita erronea interpretazione, da parte del giudice territoriale, delle norme di legge sul punto rilevanti”.
Ne consegue che ogni omissione di tipo informativo può divenire rilevante laddove possa costituire la base informativa che se fosse stata fornita avrebbe potuto scongiurare un evento spiacevole.
Per preventivi di difesa processuale
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segue sentenza Cassazione 4 sezione penale num. 28724 Anno 2021
sentenza cass 4 pen 28724 14.7.2021
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