RSA: dipendenti “no vax” e responsabilità legali


La questione dell’obbligo vaccinale nelle RSA e i riflessi sul personale “no vax”

Una società che gestisce una casa di cura per anziani (R.S.A.) si è trovata a dover affrontare il problema di una propria operatrice socio sanitaria – O.S.S., che non intende sottoporsi al vaccino anti – Covid 19 in quanto aderente al movimento “No Vax”.

Il D.L. 44/2021 e l’obbligo di vaccinazione per il personale sanitario

La questione deve essere affrontata muovendo dal disposto dell’art. 4, comma 1 del D.L. 1° aprile 2021, n. 44 (convertito con modificazioni dalla L. 28 maggio 2021, n. 76 – G.U. 31/05/2021, n. 128) che così recita:

Gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di   interesse   sanitario   (di   cui all’articolo 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n.  43)  che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, ((nelle farmacie, nelle parafarmacie)) e negli studi professionali   sono   obbligati   a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della   professione   e   per   lo   svolgimento   delle ((prestazioni lavorative dei soggetti)) obbligati.”

La norma è chiara nel prevedere l’obbligo di vaccinazione per tutto il personale sanitario (ivi compreso il personale delle strutture sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private ed ivi compresi i lavoratori autonomi e i collaboratori) ed altrettanto chiara nello stabilire che al personale che rifiuti la vaccinazione è preclusa ogni possibilità di continuare ad esercitare la propria professione o attività lavorativa.

L’ordinanza del 06/05/2021 del Tribunale di Belluno

Sulla questione è di recente intervenuta una pronuncia del Tribunale di Belluno (ordinanza del 06/05/2021) che ha ribadito l’obbligo vaccinale di cui al citato art. 4 e come il datore di lavoro debba, in linea con il disposto della medesima norma, impedire ogni attività lavorativa ai sanitari e agli operatori socio assistenziali che non intendano sottoporsi alla vaccinazione anti – Covid 19. Ciò sia in ragione dell’art. 32 Costituzione sia in ragione dei rischi a cui una struttura sanitaria (o socio assistenziale) si espone a far lavorare operatori che rifiutino il vaccino.

No vax: i rischi per la struttura datrice di lavoro

La struttura, facendo lavorare un proprio operatore che ha rifiutato e continua a rifiutare il vaccino, si trova esposta al rischio di responsabilità sia penali che civili.

Sotto il profilo penale – come peraltro affermato dalla citata ordinanza del Tribunale di Belluno – la società potrebbe essere chiamata a rispondere di concorso in esercizio abusivo della professione ex art. 348 c.p.

Infatti, l’esercizio di un’attività sanitaria (o parasanitaria), a fronte del rifiuto del lavoratore a sottoporsi a vaccinazione, potrebbe sostanziare esercizio abusivo della professione in quanto la prestazione lavorativa viene resa in mancanza di requisiti imposti dalla legge (art. 4 del D.L. 44/2021); quindi il datore di lavoro che consenta o tolleri tale esercizio abusivo ben potrebbe essere chiamato a rispondere in concorso con il proprio dipendente.

Sempre sotto il profilo penale potrebbero, poi, aprirsi in capo alla struttura datrice di lavoro responsabilità per i reati di lesioni o omicidio colposo (laddove l’operatore non vaccinato possa contagiare, con effetti mortali o comunque gravi, gli ospiti/pazienti della struttura), responsabilità per violazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro di cui al D.lgs. 81/2008 (il riferimento specifico va agli art. 271 e ss. del Titolo X dedicato all’esposizione agli agenti biologici tra i quali è stato ricompreso anche Covid 19 – vedere allegato XLVI al decreto medesimo), nonché responsabilità ex art. 2087 c.c.

Il problema della conoscibilità delle informazioni sulla vaccinazione dei dipendenti

Il quadro sopra descritto viene ulteriormente arricchito – se non complicato – dalla normativa sulla privacy e sul trattamento dei dati personali, in forza della quale il datore di lavoro non è tenuto ad interrogare o chiedere ai propri dipendenti se siano sottoposti al vaccino anti – Covid 19.

Sorge, dunque, il problema di trovare un corretto bilanciamento tra le esigenze di tutela della salute e rispetto della normativa privacy.

Una soluzione potrebbe essere quella di far fare al dipendente – di cui si sospetti il rifiuto al vaccino – visita presso il medico aziendale, all’esito della quale il medico medesimo, dopo accertato la volontà del lavoratore di non vaccinarsi (tale accertamento è nelle sue facoltà), potrà dichiarare l’inabilità temporanea del lavoratore e consentire all’azienda di collocare questo ultimo in aspettativa non retribuita.

Diverso il caso in cui il dipendente abbia espressamente manifestato a colleghi e superiori la sua volontà di non vaccinarsi. In tale ipotesi l’azienda – che ha appreso informazioni personali protette dalla normativa privacy direttamente dall’interessato – potrebbe valutare anche soluzioni diverse, come quella di adire, se ne ricorrono i presupposti, direttamente l’Autorità Giudiziaria con un ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c.

Dipendenti no vax: conclusioni

La tematica affrontata, oltre ad essere nuova e, quindi, ancora poco dibattuta nelle aule di tribunale, presenta innumerevoli problematiche e criticità, che consigliano di rivolgersi sempre ad un professionista del settore.

La vicenda rischia di avere nuovi sviluppi alla luce di quella che sarà la decisione del TAR Lombardia – Brescia sul ricorso presentato da circa 300 operatori sanitari appartenenti al movimento “No Vax”.

Avv. Matteo Pennati

Dott.ssa Alessia Pieroni