Art. 4 della legge 300
La norma cardine delle riprese sul luogo di lavoro, così come recentemente modificata, è l’art. 4 della legge 300 del 1970 che così recita:
“1. Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unita’ produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione delle sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro. I provvedimenti di cui al terzo periodo sono definitivi (3).
- La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.
- Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.” al 2 gennaio 2017.
Le sanzioni
La violazione della predetta normativa è sanzionata anche penalmente, salvo che il caso non costituisca più grave reato, dall’art. art. 38 della Legge n. 300/1970.
La giurisprudenza sul punto è molto garantista nei confronti della privacy dei dipendenti e quindi (data la recente modifica legislativa) ci sarà da aspettarsi un interpretazione certamente dai margini molto stringenti delle facoltà concesse soprattutto dal comma 2, sopra riportato.
Si pensi, per esempio, ad alcune pronunce anche di legittimità che hanno previsto “l’idoneità degli impianti a ledere il bene giuridico protetto, cioè il diritto alla riservatezza dei lavoratori, necessaria affinché il reato sussista … è sufficiente anche se l’impianto non è messo in funzione, poiché, configurandosi come un reato di pericolo, la norma sanziona a priori l’installazione, prescindendo dal suo utilizzo o meno“; Cass. Penale n. 4331/2014.
Appare evidente che la prudenza da seguire è certamente massima.
Interessante è anche notare come, cambiando la prospettiva, cambia radicalmente anche la valutazione della giurisprudenza. Infatti una recente sentenza di legittimità ha dichiarato legittimo l’utilizzo delle telecamere indipendentemente da ogni preventiva autorizzazione (o meglio delle riprese eseguite dalle stesse) quando sia occasionato dalla documentazione della commissione di un reato.
La domanda sorge spontanea: come si può sapere prima che verrà commesso un reato? E se non viene commesso? Il datore si espone a sua volta a responsabilità penale?
Anche in questo caso la prudenza è buona consigliera.
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