Reintegrata e risarcita la dipendente licenziata per sopraggiunta inidoneità fisica


Se l’incapacità è solo parziale, la dipendente deve non solo essere reintegrata ma anche risarcita.

Perché spetta al datore di lavoro trovarle un altro posto di lavoro all’interno dell’azienda, compatibilmente con le condizioni dettate dalla sua sopraggiunta inidoneità fisica. Sono queste le conclusioni emerse da una recentissima ordinanza della Corte di Cassazione.

Con l’ordinanza del 29 maggio 2023, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, ha stabilito che la dipendente – una OSS di una cooperativa operante nel settore dell’assistenza domiciliare – precedentemente licenziata a causa di una condizione fisica inadatta, deve essere reintegrata al lavoro e risarcita. E questo perché la sua inidoneità fisica è risultata solo parziale: la consulenza tecnica dell’ufficio ha rilevato infatti che la dipendente può ancora svolgere le sue mansioni, seppur con alcune limitazioni.

Inoltre, per quanto riguarda l’obbligo di ripescaggio – anche noto con il termine repechage – il datore di lavoro ha mancato di valutare possibili adattamenti organizzativi che avrebbero potuto preservare il posto di lavoro della dipendente anche (e soprattutto) tenuto conto della sua sopraggiunta inidoneità fisica. Questo adattamento sarebbe stato possibile in base alla struttura dell’azienda.

Sopraggiunta inidoneità fisica – Il parere cruciale della CTU

Il ricorso presentato dalla Cooperativa è stato respinto, rendendo definitiva la decisione della Corte d’Appello che, modificando la sentenza del tribunale, ha condannato l’ente mutualistico a reintegrare la lavoratrice e a risarcirla con dodici mensilità. Cruciale è stata l’opinione del consulente tecnico nominato dal giudice di secondo grado per valutare le capacità residue della lavoratrice nel ruolo di operatrice sociosanitaria, delineato in modo approssimativo dall’ASL.

In effetti, è necessario interpretare il parere della commissione medica con l’assistenza di un consulente tecnico sanitario, poiché il divieto totale per l’operatrice di rimanere in posizione eretta e sollevare carichi sarebbe in conflitto con la limitata capacità di adattamento stabilita dall’azienda sanitaria.

La cooperativa ha quindi ignorato l’obbligo di valutare possibili adattamenti alle condizioni di salute della dipendente conseguenti alla sua sopraggiunta inidoneità fisica. Secondo quanto stabilito dall’articolo 5 della Legge 604/66, il datore di lavoro che decide di licenziare un dipendente deve dimostrare non solo l’insorgenza successiva di un’incapacità da parte del dipendente, ma anche l’impossibilità di assegnargli mansioni compatibili con il suo stato di salute, anche di livello inferiore, e l’adozione di cambiamenti organizzativi che avrebbero potuto evitare il licenziamento.

In altre parole, l’azienda deve persuadere il giudice, magari attraverso presunte evidenze secondarie, di aver compiuto uno sforzo diligente e praticabile per evitare il licenziamento. Cosa che non è avvenuta in questo caso.


 

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