É reato non fornire collaborazione agli Ispettori del Lavoro?


Il comma 7 dell’art.lo 4 della legge 628/61 prevede l’arresto fino a due mesi o l’ammenda fino a € 516,00 per chi non fornisce le notizie legalmente richieste dal’Ispettorato del Lavoro o le dia scientemente errate o incomplete. Oggetto della prevista sanzione sono le “notizie legalmente richieste”. Le condotte si riferiscono all’omissione, all’erroneità ed all’incompletezza delle notizie.

Perché sorgono perplessità

ispezionePerché rimane il dubbio su chi è da considerare Ispettorato del Lavoro e su chi è il soggetto passivo. Contrariamente a quanto affermato da certe sentenze il riferimento all’Ispettorato (e non agli ispettori in particolare quelli INPS ed INAIL confluiti formalmente nell’INL Ispettorato del Lavoro, ma che ancora vagano sulle interpretazioni degli enti) non è così chiaro.  L’ispettore non è l’Ispettorato; è intuitivo. Ne consegue che la richiesta dovrebbe, ad avviso di chi scrive, pervenire nell’ambito di contesti consentiti dalla legge.

Proviamo a fare qualche esempio; l’art.lo 12 dello statuto del contribuente prevede che l’accertamento al di fuori della sede dell’azienda possa avvenire solo con il consenso del contribuente; ne consegue che una richiesta formulata presso sedi illegittimamente esercitate dalla compagine ispettiva è certamente discutibile. Nel corso del tempo gli accertamenti di previdenza si sono allineati, anche per quanto riguarda le conseguenze, a quelli fiscali. Facciamo l’esempio della contribuzione IVS commercianti o artigiani in cui quello che si chiama contributo è una quasi tassa coincidendo la figura del beneficiario con quella dell’obbligato.

Le nuove e sopravvenute problematiche connesse alla legalità dell’accertamento non possono essere ignorate da una giurisprudenza ancora legata solo alla vecchia figura del c.d. PADRONE di fabbrica.  La questione, sotto il profilo normativo nazionale e comunitario, è affrontata in questo articolo. Il diritto alla difesa non può essere sacrificato a favore della burocrazia quando questa risulti irrispettosa dei diritti fondamentali del contribuente soprattutto alla luce di nuovi profili che stanno modificando la fisionomia della struttura dei sempre più penetranti obblighi imprenditoriali.

Con le più recenti disposizioni in materia di pagamento retributivo tracciabile la disposizione sanzionatoria sembrerebbe trovare un allargamento delle prerogative ispettive già molto amplificate dalla giurisprudenza (Cass. Pen. 42334/2013), quindi, non si dovrebbe prescindere dal rigoroso rispetto delle regole a favore del contribuente. 

La giurisprudenza è sempre stata orientata alla massima punizione dei destinatari della norma ed il reato è stato considerato istantaneo nel caso di notizie scientemente errate. Comunque è considerato un reato permanente in caso omissione (Cass. Pen. III sez. 4687/2003).

Nuovo modo di intendere il rapporto tra pubblica amministrazione e cittadino

Il caso Chambaz – Svizzera  non può costituire un caso isolato, ma anzi, il criterio di considerazione di un nuovo modo di intendere il rapporto tra pubblica amministrazione e cittadino. Da qui l’esigenza di pretendere, senza il timore di fare arrabbiare gli ispettori, il rispetto delle regole denunciandone ogni irregolare comportamento nei tempi e nelle sedi opportune, compresa quella disciplinare per l’ispettore  o per il dirigente e senza escludere neppure la possibilità di rivolgersi, quando necessario, al Garante per inosservanza dell’art.lo 12 dello statuto del contribuente .

Secondo la Cassazione penale sez. III, 30/03/2017, n.35170 il reato di cui all’art. 4 della legge n. 628 del 1961 il reato si configura anche nel caso di omessa esibizione di specifici documenti richiesti dal predetto Ispettorato da parte del datore di lavoro. (In motivazione, la S.C. ha precisato che l’art. 4 non contrasta con il diritto costituzionale di difesa sul presupposto che, in tal modo, si imporrebbe agli stessi un obbligo di possibile autodenuncia quanto ad eventuali mancanze od omissioni, in quanto le suddette richieste rientrano nell’ambito della vigilanza amministrativa demandata all’Ispettorato e, come tali, da un lato assoggettano l’imprenditore allo stesso trattamento riservato a ogni cittadino sottoposto ad atti di controllo amministrativi per fini di interesse generale, e dall’altro risultano carenti del presupposto perché venga in discussione il predetto diritto costituzionale).

La sentenza della Suprema Corte non può convincere se ci si pone nei confronti del diritto con lo spirito critico verso una normativa in bianco che non ha mai ben chiarito chi è l’Ispettorato del Lavoro e quali sono le notizie rientranti nella definizione di “legalmente”. E’ proprio sul LEGALMENTE che è opportuno riporre attenzione.

Laddove il comportamento degli ispettori sia stato eccessivamente pervasivo ed oltraggioso rispetto ai diritti del contribuente disattendendone i parametri fondamentali al punto tale da legittimare il sospetto di un sopruso, quella prevista legalità subisce un affievolimento al punto tale da poter far presumere una certa dose di illegalità dell’intero accertamento ispettivo e quindi della richiesta di notizie spesso tendenti ad ottenere l’autoaccusa.

Obbligare il contribuente a fornire la prova di colpevolezza

non sembra compatibile con l’ordinamento giuridico. Al riguardo la sopra citata sentenza Chambaz – Svizzera costituisce un solido baluardo giuridico di un principio secondo il quale non si può obbligare il contribuente a fornire la prova della sua colpevolezza o ad auto incolparsi sotto minaccia di una sanzione.

La questione della legalità della richiesta è poi un ulteriore parametro fondamentale per la valutazione del comportamento del contribuente da un lato e per la valutazione della posizione disciplinare del dirigente e del dipendente pubblico dall’altro, fatto sempre salvo il diritto di valutare la risarcibilità del danno procurato dalla Pubblica Amministrazione.