Quantificazione economica del demansionamento


Con il termine Demansionamento facciamo riferimento a circostanze nelle quali il lavoratore viene adibito  mansioni riconducibili ad un livello di inquadramento inferiore rispetto a quello contrattualmente concordato.

In questi casi il problema non è la retribuzione: anche se il lavoratore continua a ricevere un pagamento adeguato rispetto a quanto stabilito in sede di accordi contrattuali, si può comunque trattare di un caso di demansionamento se le mansioni alle quali di fatto viene adibito sono da ricondurre ad un livello di inquadramento inferiore.

Le motivazioni della normativa

La scelta da parte del legislatore di difendere la mansione del lavoratore (indipendentemente dalla retribuzione) deve essere ricondotta a motivazioni differenti, che possiamo così riassumere:

  • Il diritto di svolgere effettivamente l’attività concordata al momento della firma del contratto;
  • La componente psicologica del lavoratore che si vede attribuire una mansione professionalmente più semplice e limitata rispetto alle proprie capacità individuali;
  • Il rischio concreto che lo svolgimento perpetuo di una mansione (più) semplice possa comportare una perdita della professionalità in capo al lavoratore e una riduzione delle sue abilità, anche nell’ottica del suo percorso professionale futuro.

Le fonti giuridiche

La principale fonte normativa è l’art. 2103 c.c. così come modificato dal D.Lgs n.81 del 15 Giugno 2015, il quale stabilisce espressamente che

Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali e’ stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito […]”.

Ma è davvero sempre vietato adibire il lavoratore a mansioni differenti?

Non esattamente. Possiamo identificare le seguenti regole principali per il c.d. Ius Variandi:

  • Si definiscono variazioni orizzontali quando il datore di lavoro adibisce attivamente il lavoratore a mansioni differenti, ma che rientrano nel medesimo livello di inquadramento. Possiamo dire che in linea di massima l’imprenditore può svolgere questo tipo di operazioni, perché si ritiene che rientrino nel potere organizzativo ordinario necessario per la gestione dell’impresa. Infatti l’art. 2013 riferisce che “[il lavoratore può essere adibito] a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte”.

Per quanto riguarda invece le c.d. variazioni verticali, ovvero variazioni di mansioni che fanno riferimento a livelli di inquadramento differenti, possiamo individuare le seguenti regole generali:

  • Le variazioni verticali verso l’alto, che prevedono quindi lo svolgimento di una mansione riconducibile ad un livello superiore, è consentita se il lavoratore accetta e riceve i benefici che gli spettano di diritto, come l’aumento della retribuzione.
  • Le variazioni verticali verso il basso invece, nella maggior parte dei casi, non sono consentite.

Anche qui però, esistono delle eccezioni. Le principali:

  • Accordi individuali di modifica delle mansioni stipulato nelle c.d. sedi protette;
  • Modifica di assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore;
  • Specifiche previsioni stabilite dai contratti collettivi;
  • Adibizione a mansione inferiore per evitare il licenziamento, soprattutto in presenza di operazioni di licenziamenti collettivi;
  • Adibizione a mansione inferiore per tutelare la lavoratrice madre;
  • Adibizione a mansione inferiore per inabilità temporanea del lavoratore allo svolgimento della mansione ordinaria a causa di eventi come infortuni e malattia;
  • Per la salute e la sicurezza del lavoratore.

La maggior parte di queste eccezioni accomunano un aspetto sostanziale abbastanza evidente: il datore di lavoro adibisce il lavoratore a una mansione inferiore per il suo interesse e la sua tutela, e non per la pura utilità del datore di lavoro.

Demansionamento e mobbing a volte hanno dei tratti comuni, tuttavia dimostrare in un giudizio il mobbing è complesso mentre per provare il demansionamento a volte bastano pochi documenti o poche testimonianze. Quando è possibile scegliere il demansionamento è certamente più agevole ai fini di un giudizio.

La quantificazione economica del demansionamento

Trattandosi di un danno indiretto può risultare difficile individuare la quantificazione economica del danno subito a causa di un demansionamento: non si tratta semplicemente di un’ora di retribuzione non pagata e pertanto non si può fare riferimento ad un valore tabellare presente sul Contratto Collettivo applicato in azienda.

Per diverso tempo la giurisprudenza ha individuato un insieme di criteri derivanti da altri istituti del diritto, come la sentenza del 16 settembre 2021 della Corte di Appello di Catanzaro, che ha fatto riferimento all’importo “previsto per il danno biologico da inabilità temporanea assoluta dall’art. 139, comma 1, D.Lgs. n. 209/2005, scorporato della componente già assorbita dal risarcimento“.

Un criterio chiaro ed efficace però è stato recentemente individuato con l’Ordinanza n. 3131 del 02 febbraio 2023 della Corte di Cassazione, che ha confermato la correttezza della pronuncia di merito anche sulla quantificazione in via equitativa del danno da demansionamento pari al 25% della retribuzione goduta per ciascun mese di demansionamento.

Le nostre conclusioni

I casi di demansionamento possono risultare complessi: i dettagli della situazione di fatto possono influenzare l’analisi complessiva tanto quanto le eccezioni di diritto. A titolo esemplificativo ma non esaustivo, la condotta messa in atto dal datore di lavoro potrebbe anche evidenziare la precisa volontà di danneggiare il lavoratore, con tutte le conseguenze stabilite dalla legge.

Pertanto consigliamo di farsi affiancare da un team di professionisti esperti e richiedere un’analisi specifica della situazione.