Outsourcing e appalto illecito – rischi e criteri di valutazione della regolarità


Outsourcing e appalto illecito o irregolare – L’accertamento ispettivo INL, INAIL o INPS normalmente inizia con specifiche interviste ai dipendenti i quali dopo essere stati sentiti sottoscrivono quanto verbalizzato dagli ispettori.

Quali sono gli indicatori di una situazione potenzialmente a rischio in caso di outsourcing 

Quasi sempre tutti si preoccupano della modalità con cui viene condotto l’accertamento, tuttavia si deve considerare, pur con tutte le variabili di metodo applicato dal personale di vigilanza, che tutto parte da come è sorto, per quali finalità e soprattutto come è, nel concreto, stato gestito il rapporto.

Dell’argomento ci eravamo già occupati anche in termini di diritti dell’imprenditore durante l’accertamento ispettivo, tuttavia, anche alla luce di una nuova prospettazione offerta da una pronuncia della Corte di Cassazione, riteniamo meritevole un approfondimento che volga lo sguardo anche ad un altro versante.

Se i lavoratori dichiarano di non conoscere l’azienda che formalmente li ha assunti né conoscono i loro responsabili eccetto gli aspetti formali come la sola consegna della busta di paga occorre cominciare a preoccuparsi venendosi a profilare sia una dipendenza diretta che una presunzione di carenza di rischio di impresa in capo all’appaltatrice.

Nel caso in cui i lavoratori non intrattengono, né hanno mai intrattenuto alcun tipo di rapporto con le aziende formalmente qualificatesi come datore di lavoro difficilmente si potrà riuscire a dimostrare che nei fatti c’è stata assunzione di rischio da parte delle ditte appaltatrici.

In questi casi infatti ogni indice estrapolato dalla dichiarazione dei lavoratori porta a considerare che l’appalto in quanto tale presenta svariati deficit soprattutto dove è dimostrato che il servizio prestato si è limitato oggettivamente all’esclusiva messa a disposizione della sola attività lavorativa.

Cosa affermano il codice civile e le leggi sul lavoro

-l’articolo 1655 del c. c. definisce “l’appalto” come il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro;

-il legislatore tipizzando il c.d. appalto genuino o lecito, all’articolo 29 c. 1 del decreto legislativo 276/2003 ha ritenuto opportuno specificare i requisiti, quali:

  1. a) l’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione all’esigenza dell’opera o del servizio dedotti in contratto;
  2. b) l’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto;
  3. c) l’assunzione del rischio di impresa da parte dell’appaltatore, inteso come il rischio avente una connotazione economica (Cassazione civile sentenza lavoro del 23/11/2009 n. 24625).

Questi requisiti divengono parametri di valutazione della genuinità dell’appalto ovvero della sua veridicità.

L’“appaltatore” riveste tale figura solo se a lui fa veramente capo l’organizzazione necessaria per eseguire il concreto il servizio e l’opera commissionati (appalto reale). Così non è quando si limita a fornire solo manodopera al punto da far considerare la prestazione uno pseudo appalto.

Fondamentale è quindi l’individuazione del soggetto che effettivamente esercita il potere direttivo sui lavoratori impiegati, assumendone il relativo rischio, senza limitare il proprio intervento la mera gestione amministrativa del rapporto di lavoro.

Le conseguenze in caso di verbale ispettivo che prende in considerazione l’appalto e l’outsourcing

Le conseguenze percorrono di solito due diverse strade, una sanzionatoria ed una contributiva.

Di quella sanzionatoria si è già trattato in precedenza con altro articolo .

Per quanto riguarda l’aspetto contributivo occorre precisare la fonte che disciplina il rapporto previdenziale tra datore di lavoro ed ente affidatario della relativa tutela trova la propria fonte nella legge e presuppone esclusivamente la sussistenza di un rapporto di lavoro.

La stipula di un atto negoziale affetto da lacune particolarmente lontane rispetto alla forma adottata consente all’ente di previdenza di proporre vicende processuali autonome in quanto il rapporto assicurativo obbligatorio è certamente sottratto alla disponibilità delle parti (Sentenze della Cassazione n. 17355/2017 e n. 6001/2012).

Se da un lato il lavoratore può scegliere di ottenere il riconoscimento del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore nel contesto lavorativo-previdenziale vale il principio secondo cui l’unico rapporto di lavoro rilevante è quello effettivo (Cass. Sent. N. 20/2016 e 463/2012).

Quali sono i possibili risvolti in ambito penale

A parte le sanzioni già previste dal Decreto Legislativo 276/2003 occorre considerare alcune possibili deviazioni che dalle mere sanzioni (civili, amministrative) si spostano verso ambiti ben più gravosi per il contribuente.

Occorre considerare l’importanza di una corretta impostazione della fase accertativa e la necessità del rispetto dei diritti del contribuente.

Il Decreto legislativo n. 74/2000 che si occupa dei delitti in materia di dichiarazioni in ambito fiscale nel suo articolo 2 punisce chi “al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi.”

Il reato non è trascurabile in quanto la reclusione da quattro ad otto anni si riduce ad un periodo più breve ovvero da un anno e sei mesi a sei anni solo nel caso in cui l’importo non superi € 100.000,00 .

Sul punto anche la Corte di Cassazione si è severamente espressa con la Sentenza della 3 sezione penale n. 16302 del 27 gennaio 2022.

Oggetto della decisione è proprio l’articolo 2 del decreto legislativo 10 marzo 200 n. 74 che è stato preso in considerazione perché il datore di lavoro considerato effettivo “al fine di evadere l’IVA, avvalendosi di fatture per operazioni giuridicamente inesistenti emesse dal Consorzio Industria dei Servizi, simulando contratti di appalto invece di contratti di somministrazione di mano d’opera, nelle dichiarazioni IVA … “relativi alle annualità 2017, 2018, 2019, 2020, indicavano elementi passivi fittizi (IVA indetraibile) per un ammontare complessivo” di entità anche superiore ad € 5.000.000,00 .

Precisa la Corte di Cassazione come sia emerso che, nei confronti di uno dei fornitori di servizi, …, il rapporto si era articolato con il contenuto concreto di una somministrazione di lavoro da parte delle cooperative finali, che … si limitava a “schermare“: …., a propria volta, non aveva assunto lavoratori ed era priva dei mezzi necessari ad erogare direttamente la prestazione ma forniva il servizio, formalmente in subappalto, in realtà – nella prospettazione accusatoria convalidata dai giudici cautelari – limitandosi a “filtrare” il rapporto tra …. (che esercitava, attraverso direttive ad …, funzioni proprie del datore di lavoro) e le cooperative di lavoratori.

E’ risultato che lo schermo del consorzio era nell’esclusivo interesse di …, in quanto finalizzato ad evitare il coinvolgimento della committente sia in problematiche di gestione della forza lavoro, sia nelle plurime criticità (di natura sindacale, fiscale, previdenziale, amministrativa, sino a comprendere i rischi penali) correlate alle modalità concrete di articolazione del rapporto con i lavoratori. Di queste criticità …. era pienamente consapevole e ciò è stato ritenuto comprovato sulla base di uno “swot modello coop” contenuto in una slide, sequestrata il 9 marzo 2021, in occasione della perquisizione presso lo stabilimento di ….., significativa della consapevolezza di incorrere, in ragione del modello operativo prescelto, nel cd. “rischio Ceva“, vale a dire il rischio di incappare in una misura dì prevenzione patrimoniale alla stregua della società concorrente ………, che era stata posta ai sensi dell’art. 34 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 in amministrazione giudiziaria dal Tribunale di Milano, nel 2018, per avere agevolato, nell’esercizio dell’attività di impresa, la commissione di una serie di reati, anche tributari.

Il potere direttivo ed organizzativo sotteso a questo modello operativo è apparso, a ragione, incompatibile con lo schema legale formalmente adottato, basato su un appalto con … ed i subappalti che questo consorzio pattuiva con le cooperative fornitrici di manodopera, e significativo della ricorrenza effettiva di un rapporto di somministrazione di forza lavoro direttamente intercorrente tra … e le cooperative.

CASSAZIONE APPALTI 16302 - 2022

Dopo una serie di successive argomentazioni

Differenza tra appalto di servizi e somministrazione secondo la Corte di Cassazione

la consolidata giurisprudenza di legittimità abbia individuato nel potere di direzione e di organizzazione il discrimen tra appalto di servizi e mera somministrazione di manodopera, affermando che, in tema di interposizione di manodopera, affinché possa configurarsi un genuino appalto di opere o servizi ai sensi dell’art. 29, comma 1, del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, è necessario verificare, specie nell’ipotesi di appalti ad alta intensità di manodopera (cd. “labour intensive“), che all’appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso una effettiva e autonoma organizzazione del lavoro, con reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d’impresa, dovendosi invece ravvisare un’interposizione illecita di manodopera nel caso in cui il potere direttivo e organizzativo sia interamente affidato al formale committente (ex multis, Cass. civ., Sez. 6 – L, n. 12551 del 25/06/2020, Rv. 658115 – 01; nello stesso senso la giurisprudenza europea, v. Corte Giustizia 6 marzo 2014, causa C-458/12, Amatori, con riferimento al trasferimento di azienda o di ramo di azienda).

 

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