Offese sessiste ad una collega. E’ legittimo il licenziamento per giusta causa?


È legittimo il licenziamento per giusta causa a un dipendente che offenda una collega per il proprio orientamento sessuale?
Secondo la Sessione Lavoro della Corte di Cassazione sì.

licenziamento senza preavviso
È questo in estrema sintesi l’esito della vicenda assurta agli onori della cronaca che vede la Suprema Corte  – ordinanza n. 7029 del 9 marzo 2023 – schierarsi non solo nei confronti dei diritti di una persona omosessuale ma anche prendere una posizione netta in merito all’etica dei valori etici della nostra società civile, una società, come sottolinea la Corte, che negli ultimi decenni ha acquisito una sempre maggiore consapevolezza “del rispetto che merita qualunque scelta di orientamento sessuale”.
Ma entriamo nello specifico.

Licenziamento per giusta causa – la vicenda

Nel caso in esame, il licenziamento per giusta causa è scattato per un lavoratore che era stato appunto licenziato dall’azienda – una società di trasporti – dopo aver pronunciato alcune frasi sessiste nei confronti di una collega – “Ma perché sei uscita incinta pure tu?”,Ma perché non sei lesbica tu?”, “E come sei uscita incinta?”. Il fatto era avvenuto in luogo pubblico e alla presenza di terze persone, offese che la donna aveva ritenuto gravi e inaccettabili tanto da sporgere denuncia.

Con l’ordinanza 1029 dello scorso 9 marzo (che alleghiamo nella sua interezza in calce a questo articolo, n.d.r.), la Suprema corte ha rovesciato la sentenza della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 211-2020, evidenziando come il comportamento del lavoratore fosse stato contrario alle regole di creanza e vivere civile; e che quindi le espressioni da lui utilizzate sarebbero state più gravi e rilevanti di quanto precedentemente deciso in sede di riesame.

Nello specifico il giudice della Cassazione ha detto che tale comportamento:

“costituisce innegabile portato della evoluzione della società negli ultimi decenni l’acquisizione della consapevolezza del rispetto che merita qualunque scelta di orientamento sessuale e del fatto che essa attiene ad una sfera intima e assolutamente riservata della persona; l’intrusione in tale sfera, effettuata peraltro con modalità di scherno e senza curarsi della presenza di terze persone, non può pertanto essere considerata secondo il “modesto” standard della violazione di regole formali di buona educazione utilizzato dal giudice del reclamo, ma deve essere valutata tenendo conto della centralità che nel disegno della Carta Costituzionale assumono i diritti inviolabili dell’uomo, il riconoscimento della pari dignità sociale senza distinzione di sesso, il pieno sviluppo della persona umana, il lavoro come ambito di esplicazione della personalità dell’individuo, oggetto di particolare tutela in tutte le sue forme ed applicazioni”.

Le nostre riflessioni: quali possono essere i rischi per il datore di lavoro di un licenziamento per giusta causa?

A prescindere dalla nostra personalissima posizione in allineamento completo con quanto ordinato dalla Cassazione di confermare il licenziamento per giusta causa, e nel rispetto di quanto stabilisce la nostra Carta Costituzionale – che prevede appunto la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo senza distinzione di sesso, la tutela dello sviluppo della persona umana e, soprattutto, il lavoro come forma di esplicazione della personalità individuale, da salvaguardare “in tutte le sue forme e applicazioni” (articolo 35) – vogliamo comunque metterci nei panni del datore di lavoro, domandandoci in che misura quest’ultimo si possa esporre in questa direzione, forte di questa ultima decisione della Corte Suprema Corte.

Quali conseguenze giuridiche subirebbe un datore di lavoro, se basandosi su quanto ha affermato la Cassazione in passato, questa invece si esprimesse in maniera diversa, se non addirittura contrastante? Anche perché la Corte spesso ha cambiato posizione nel corso degli anni.

Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio, diceva un vecchio detto.

Il fattore tempo, quando costituisce elemento di accumulo potenziale di debito come nel caso di domanda di reintegra, diventa determinante nell’ambito di una decisione nella quale la sola probabilità di variazione di orientamento deve essere un fattore dominante del processo decisionale.

Infatti l’azienda potrebbe andare incontro a conseguenze gravissime qualora il dipendente vincesse una causa di lavoro avente ad oggetto l’impugnazione del licenziamento. Possono esserci – e non è così infrequente, anzi – delle situazioni in cui il lavoratore ha il diritto di richiedere di essere reintegrato nel posto di lavoro e di ricevere anche un importante risarcimento.
Ecco, davanti a scenari di questo tipo, il datore deve sempre trattare la questione con i guanti e assicurarsi di tutelare la propria posizione con ogni mezzo.

Il concetto di accumulo potenziale del debito rende bene l’idea laddove una decisione negativa con pronuncia in termini di reintegro dovesse essere assunta a distanza di anni o decenni con ogni conseguente condanna al pagamento delle retribuzioni che nel tempo sono maturate a favore del lavoratore. Le cifre a volte raggiungono importi sconcertanti ed impossibili da sostenere da parte di una piccola o media azienda.

C’è poi un’ultima considerazione da non trascurare: la valenza politica di una presa di posizione da parte della Corte. Se per motivi politici la Cassazione ha dato ragione ad un’azienda in passato, avallando il licenziamento, potrebbe però non rifarlo in futuro, sulla scia di un altro orientamento politico. Anche in questo caso il datore di lavoro si espone a delle conseguenze gravissime. Tornando al fatto di cronaca: fermo restando che è stata gravissima la discriminazione e meraviglioso il fatto che la Cassazione abbia confermato il licenziamento per giusta causa, dobbiamo tuttavia tenere presente che ci sono altre situazioni – magari anche più gravi di questa – che però non sono così pregnanti per la cronaca e al centro del dibattito politico e sociale.

Consigliamo quindi sempre di valutare ogni singola vicenda nei minimi dettagli, supportati da professionisti in grado di valutare – e prevedere – eventuali sviluppi sgradevoli.

Cass.-ord.-n.-7029-2023

 

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