Tassazione dei marittimi su navi con bandiera estera (esclusi paesi c.d. “Black List”)


I lavoratori marittimi italiani imbarcati su navi immatricolate in Paesi stranieri che hanno sottoscritto una convenzione bilaterale con l’Italia possono essere esposti a situazioni di doppia “non imponibilità” del reddito.

Questo si verifica spesso a causa di un vuoto normativo in termini di tassazione.

La questione è attualmente sul banco di lavoro di molti funzionari dell’Agenzia delle Entrate che stanno controllando la posizione di molti lavoratori che sono stati all’estero e che hanno percepito le loro retribuzioni fuori dall’Italia.

I casi di cui ci siamo occupati e ci stiamo occupando sono ancora in fase di verifica ed al riguardo il confronto con gli uffici non è sempre agevole essendo gli stessi orientati alla verifica della localizzazione lavorativa ed extralavorativa a fini di imposizione fiscale.

Con il presente articolo, cercheremo di illustrare le criticità che possono gravare, anche a distanza di anni, sul lavoratore.

La figura del lavoratore marittimo e la rilevanza della sua situazione lavorativa

Il lavoratore marittimo è definito, dal D.Lgs 71/2015, come il soggetto che svolge, a qualsiasi titolo, servizio o attività lavorativa a bordo di una nave, che ha ricevuto una formazione o è in possesso di un certificato di competenza o di un certificato di addestramento o di altra prova documentale.

Il codice della navigazione definisce la “nave” come qualsiasi costruzione destinata al trasporto per acqua, anche a scopo di rimorchio, di pesca, di diporto o ad altro scopo; stabilisce inoltre che le navi italiane in alto mare, in luogo o spazio non soggetto a sovranità di altro Stato straniero, sono considerate come territorio italiano. In tali ultime circostanze, il lavoratore – ai fini fiscali e contributivi – si trova nel territorio dello Stato italiano.

Fatte queste dovute precisazioni, si procede all’analisi del dettato normativo in materia di tassazione dei redditi del lavoratore marittimo.

Quali sono i criteri seguiti per assoggettare a tassazione il reddito del lavoro marittimo su nave estera

Il principio cardine al quale si conforma il sistema impositivo è, come noto, quello dell’art. 53 della Costituzione Italiana (capacità contributiva), in base al quale: “Tutti sono chiamati a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.

Applicando tale principio, dovrebbero essere tassati in Italia, solo i redditi del percipiente che sia fiscalmente residente in Italia (requisito soggettivo), nonché i redditi che attengano a un’attività svolta sul territorio italiano (requisito oggettivo).

Il legislatore ha dato applicazione al principio appena citato, con il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 “Approvazione del testo unico delle imposte dirette” (TUIR).

Le norme principali sono quelle prescritte:

– dall’art.2 il quale individua la residenza delle persone fisiche come il luogo in cui le stesse, per la maggior parte del periodo d’imposta (più di 183 giorni):

  1. sono iscritte alle anagrafi delle popolazioni residenti;
  2. hanno nel territorio dello Stato il domicilio (ex art. 43, Codice civile); hanno nel territorio dello Stato la residenza (sempre, ex art. 43, Codice civile).

– dall’art.3, comma 1, il quale statuisce l’applicazione (in Italia, come in quasi tutti gli altri Stati del mondo) del c.d. Worldwide Principle ‘Taxation – Principio della Tassazione Mondiale – secondo cui, chi è fiscalmente residente deve versare le imposte su tutti i redditi posseduti ovunque prodotti: “L’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, al netto degli oneri deducibili.

– l’articolo 23 a mente del quale viene precisato che con riferimento alla territorialità dei redditi di lavoro dipendente, gli stessi si considerano prodotti in Italia se l’attività è svolta in Italia.

Fatta questa breve premessa, va poi osservato che, in base alla vigente normativa, un cittadino italiano non iscritto all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) che presta lavoro come dipendente all’estero in Paesi firmatari di trattati fiscali e previdenziali con l’Italia dovrà attenersi alle seguenti prescrizioni:

  • per quanto riguarda l’aspetto tributario, dovrà dichiarare in Italia tutti i redditi prodotti e ivi versare le relative imposte;
  • per quanto riguarda l’aspetto contributivo, dovrà assolvere agli obblighi prescritti dalle convenzioni previdenziali e dedurre dal reddito imponibile denunciato in Italia gli eventuali contributi trattenuti dal datore di lavoro straniero e/o versati all’Autorità locale.

Le convenzioni tra Stati

Va anche osservato, però che, con l’intento di evitate situazioni eccessivamente penalizzanti, quando non addirittura irragionevoli per tali lavoratori, i Paesi hanno siglato convenzioni bilaterali e multilaterali contro le doppie imposizioni fiscali.

A queste, in alcuni casi, si sono aggiunti anche accordi specifici sulle principali regole bilaterali in materia di previdenza sociale e di assistenza con cui si è regolamentato anche il regime pensionistico.

I vari accordi sono stati redatti ispirandosi al modello convenzionale raccomandato dall’OCSE ed è stato utilizzato (seppure spesso con alcune variazioni) dagli oltre 100 Paesi membri.

L’art. 15 di tale modello con cui sono disciplinati i redditi di lavoro dipendente prevede che:

  1. Fatte salve le disposizioni dei successivi articoli 16, 18 e 19, i salari, le paghe e altre forme di remunerazione simili ottenute da un residente di un Paese Contraente con riferimento a un contratto di lavoro dipendente devono essere tassate solamente in quel Paese a meno che il rapporto di lavoro non sia esercitato nell’altro paese contraente. In tal caso, la remunerazione deve essere tassata nell’altro Paese.
  2. Nonostante le previsioni di cui al paragrafo 1, la remunerazione ottenuta da un residente di un Paese Contraente con riferimento a un contratto di lavoro dipendente nell’altro Paese Contraente deve essere tassata solamente nel primo Paese se:
  3. a) colui che riceve la remunerazione è presente nell’altro paese per un periodo o per periodi non superiori a 183 giorni considerati in un arco temporale di dodici mesi consecutivi che hanno inizio o termine nell’ano di riferimento per le imposte, e
  4. b) la remunerazione è pagata da, o per conto di, un datore di lavoro che non è residente dell’altro Paese, e
  5. c) la remunerazione non è originata da una stabile organizzazione che il datore di lavoro possiede nell’altro paese.

Anche il modello convenzionale raccomandato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) – peraltro, sempre all’art. 15 – disciplina i redditi da lavoro dipendente con criteri molto simili a quelli adottati dall’OCSE.

I due modelli (OCSE e ONU) sono simili anche nelle previsioni previste dagli artt.23 /A e 23/B i quali si occupano di individuare due metodi per evitare la doppia tassazione: (i) il metodo dell’esenzione; (ii) il metodo del credito (adottato dall’Italia e dalla maggior parte dei Paesi).

Cosa prevede il Testo Unico delle Imposte sui Redditi

L’art. 165 del TUIR, comma1, dispone che: Se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero e il reddito complessivo al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione”.

L’art.51, comma 8 bis del TUIR stabilisce, invece che “In deroga alle disposizioni dei comi da 1 a 8, il reddito di lavoro dipendente, prestalo all’estero in via continuativa e collie oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale.

Tali retribuzioni convenzionali si applicano al verificarsi di 4 condizioni:

  • il lavoratore dipendente è fiscalmente residente in Italia;
  • il lavoro dipendente svolto all’estero in via continuativa è equiparabile a uno dei profili individuati nel citato decreto ministeriale sulle retribuzioni convenzionali;
  • il lavoro è l’oggetto esclusivo del rapporto svolto all’estero;
  • il lavoro è stato svolto all’estero per un periodo superiore a 183 giorni anche non consecutivi, nell’arco di dodici mesi (dunque, non necessariamente all’interno del medesimo anno solare).

Quando non si verificano queste condizioni, non si possono applicare le retribuzioni convenzionali e il reddito viene tassato in base alla retribuzione complessiva effettivamente percepita (al netto degli oneri previdenziali eventualmente trattenuti e versati dal datore di lavoro estero), fatta naturalmente salva l’applicazione delle detrazioni di legge per lavoro dipendente previste dall’ordinamento tributario italiano.

Le disposizioni interne dell’amministrazione finanziaria

La Circolare 207/2000 dell’Agenzia delle Entrate ha chiarito al punto  1.5.7 che, per quanto concerne il computo dei giorni di effettiva permanenza del lavoratore all’estero, il periodo da considerare non necessariamente deve risultare continuativo ma è sufficiente che il lavoratore presti la propria opera all’estero per più di 183 giorni nell’arco di dodici mesi.

Va inoltre osservato che i dodici mesi non si riferiscono al periodo d’imposta, ma alla permanenza del lavoratore all’estero stabilita nello specifico contratto di lavoro che può anche prevedere un periodo a cavallo di due anni solari e che, nel computo del limite dei 183 giorni, vengono computati i periodi di ferie, le festività, i riposi settimanali e gli altri giorni non lavorativi indipendentemente dal luogo in cui sono trascorsi.

Si osserva che le regole sopra menzionate hanno delle significative eccezioni con riferimento alla categoria dei marittimi.

L’ultimo comma del già citato articolo 15 (sia OCSE sia ONU), stabilisce che: “Nonostante le precedenti previsioni di questo Articolo, la remunerazione ottenuta con riferimento a un rapporto di lavoro dipendente svolto a bordo di un’imbarcazione o velivolo che opera nel traffico internazionale o a bordo di una barca che svolge il trasporto per vie interne marine navigabili, deve essere tassata nel Paese Contraente nel quale è situato il luogo di effettiva amministrazione dell’impresa”.

L’art. 3 (OCSE e ONU) stabilisce che il “traffico internazionale” deve qualificarsi come qualsiasi trasporto mediante imbarcazione o velivolo svolto da un’impresa che ha il suo luogo di effettiva amministrazione in un Paese Contraente, eccetto quando l’imbarcazione o il velivolo opera esclusivamente in località dell’altro Paese Contraente.

La legislazione italiana

L’art. 5 del DL 317 /1987 stabilisce che le disposizioni concernenti i lavoratoti italiani all’estero (inclusa l’adozione delle retribuzioni convenzionali) non si applicano ai lavoratori marittimi italiani imbarcati su navi battenti bandiera estera.

La legge 16 marzo 2001, n. 88 ha fornito la seguente interpretazione autentica: … i lavoratori marittimi italiani imbarcati su navi battenti bandiera estera, per i quali, ai sensi dell’articolo 4, coma 1, e dell’articolo 5, comma 3, del decreto legge 31 luglio 1987, n. 317, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 1987, n. 398, non è applicabile il calcolo sulla base della retribuzione convenzionale, continua a essere escluso dalla base imponibile fiscale il reddito derivante dall’attività prestata su tali navi per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di dodici mesi. I lavoratori marittimi percettori del suddetto reddito non possono in alcun caso essere considerati fiscalmente a carico e, se richiedono prestazioni sociali agevolate alla pubblica amministrazione, sono comunque tenuti a dichiararlo all’ufficio erogatore della prestazione, ai fini della valutazione della propria situazione economica. Anche l’Agenzia delle Entrate si è espressa al riguardo con un parere.

Tassazione dei marittimi su navi estere: riassumendo

Riteniamo, quindi, potersi concludere che per i lavoratori marittimi che svolgono lavoro dipendente su navi battenti bandiera estera o comunque all’estero non paiono in alcun caso applicabili le retribuzioni convenzionali.

Non rilevano, infatti, la residenza del datore di lavoro, quella del dipendente, il luogo geografico di svolgimento effettivo della prestazione lavorativa (e quindi non rileva la posizione della nave, la navigazione nelle tratte interne o internazionali).

Mentre tutti i dipendenti che lavorano all’estero devono detrarre le imposte ivi già versate per la determinazione di quelle da pagare in Italia (metodo del credito d’imposta), per i marittimi il problema della doppia imposizione è risolto alla radice in quanto detti proventi non sono rilevanti in Italia. Allo stesso tempo, tuttavia, in alcune situazioni c’è il rischio di una doppia “non-imposizione”.

In relazione ai lavoratori marittimi italiani che prestano servizio a bordo di navi battenti bandiera straniera (esclusi paesi c.d. “Black List”) resta fermo il fatto che, a prescindere da quanti giorni gli stessi siano rimasti imbarcati (più o meno di 183 giorni; in questo secondo caso a patto che il Paese estero di interesse abbia sottoscritto una convenzione con l’Italia sulla base dei modelli OCSE/ ONU), i redditi prodotti come dipendente non assumono rilevanza nei confronti del fisco italiano esonerandolo dall’obbligo dichiarativo e dal pagamento delle imposte in base al principio della tassazione mondiale.

Conclusioni

In conclusione, dunque, appare evidente che l’attuale normativa domestica concernente il reddito dei lavoratori marittimi che prestano servizio a bordo di navi battenti bandiera straniera come sopra indicate lasci alpi spazi di ambiguità per sostenere la doppia “non imposizione” a favore dei lavoratori marittimi. Ogni situazione, tuttavia, richiede sempre una valutazione delle specifiche posizioni personali.

Avv. Michael Tirrito

Avv. Vito Tirrito