Il licenziamento è sempre un rischio o ci sono certezze di legittimità?
Il datore di lavoro di solito chiede al Consulente del Lavoro o Commercialista di effettuare il licenziamento del lavoratore perché vi sono ragioni che, a suo modo di vedere, non lasciano dubbi sulla sua legittimità.
La sua certezza così elevata che non mostra nessuna riserva neppure quando si sente rispondere dal consulente che forse sarebbe meglio consultare un avvocato giuslavorista.
E quindi invita il consulente a procedere, perché non è possibile che il giudice possa dargli torno.
I motivi possono essere i più svariati e non sente ragioni neppure quanto gli viene illustrata la possibilità che la norma che blocca i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo pur essendo palesemente incostituzionale, può presentare varie insidie di non poco conto. Anche quando si tratta di eccessiva morbilità ed il licenziamento è previsto dal contratto. Non perché ha torto o ragione, ma perché il rischio che uno dei quattro proiettili in canna alla giustizia possa essere carico incombe solo sulla sua testa.
Spieghiamoci meglio per il caso di istanza reintegra.
Il tribunale del Lavoro ti da ragione? si passa all’appello.
La corte di appello ti da ragione? si passa in Cassazione.
La Cassazione rinvia alla corte di appello? si passa in appello.
La corte di appello ti da torto? il datore di lavoro, in caso di reintegra, è sempre rovinato.
Ma il rischio della rovina da reintegra ha una portata ben più ampia di quanto si possa pensare perché non è neppure da escludere quando il licenziamento avviene per superamento del periodo massimo di malattia. Vediamo di fare un esempio.
Eccesso di malattia. Soluzione o trappola
A quali problemi va incontro il datore di lavoro che, ritenendosi nella piena ragione di quanto stabilisce il Contratto collettivo, licenzia il suo dipendente assente da troppo tempo per malattia?
Il licenziamento per eccessiva morbilità può essere qualificato come licenziamento per giustificato motivo oggettivo?
Non sono nubi isolate le sentenze della Corte di Cassazione civile (sez. lav., 03/05/2016, n.8707) che assimilano il licenziamento per superamento del periodo di comporto a quello per giustificato motivo oggettivo.
Problemi specifici del licenziamento per superamento del comporto di malattia nel periodo Covid
I licenziamenti nel periodo covid e post covid per giustificato motivo oggettivo sono inefficaci. Ma cosa succede se il lavoratore che ha superato il periodo di malattia viene licenziato?
La questione non è tanto il fatto di potere o non potere licenziare quanto la possibilità di capire che cosa può accadere se la norma che impedisce questa possibilità viene violata da parte del datore di lavoro.
Il problema nasce dalla qualificazione che la giurisprudenza ha dato, seppure in modo non chiarissimo, al licenziamento conseguente al superamento del periodo di comporto.
Quali sono le conseguenze di un licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo?
La prima cosa che viene in mente ad una persona comune è capire se si possa ottenere o meno ragione.
Invece, facendo una più approfondita riflessione, il problema più grosso è il rischio che il datore di lavoro sta correndo.
Il rischio, cioè, che vi sia la possibilità che il giudice possa, a distanza di anni, disporre il reintegro del lavoratore con la condanna al pagamento di tutte le retribuzioni nel frattempo maturate e relativi contributi.
Potrebbe trattarsi di qualche centinaio di migliaia di Euro.
La convinzione di poter ottenere ragione in appello o addirittura in Cassazione, tuttavia non deve rallegrare, tutt’altro.
Infatti poniamo il caso che il datore di lavoro ottenga ragione in una delle fasi successive, andrebbe incontro ad un problema particolare.
Le sentenze del giudice del lavoro sono provvisoriamente esecutive, quindi quando il lavoratore vince la causa si procura la formula esecutiva, la notifica con il precetto e promuove l’esecuzione.
In altre parole agisce con pignoramenti di beni, conti correnti ecc… spesso mettendo in ginocchio il datore di lavoro fino a portarlo, se non ha abbastanza risorse economiche, anche al fallimento.
Una volta depredate le casse dell’azienda difficilmente il lavoratore soccombente restituirà o sarà in grado di restituire quanto ricevuto. Inoltre rimane l’interrogativo della contribuzione versata a seguito della sentenza; se in appello o cassazione il datore di lavoro dovesse ribaltare la sentenza di condanna, come e quando potrà riavere quanto intanto versato?
Licenziamento per malattia: cosa prevede la normativa COVID e post COVID?
Ritenendo inutile ogni eventuale sulle modalità normative utilizzate si ritiene opportuno riportare i testi così come risultano dalle gazzette ufficiali lasciando al lettore ogni più intelligente e legittima considerazione.
TESTO COORDINATO DEL DECRETO-LEGGE 19 maggio 2020, n. 34
Art. 80 Modifiche all’articolo 46 in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo 1. All’articolo 46 del decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, le parole: « 60 giorni » sono sostituite dalle seguenti: «cinque mesi» ed e’ aggiunto infine il seguente periodo: «Sono altresi’ sospese le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604.»; b) dopo il comma 1, e’ aggiunto il seguente: «1-bis. Il datore di lavoro che, indipendentemente dal numero dei dipendenti, nel periodo dal 23 febbraio 2020 al 17 marzo 2020 abbia proceduto al recesso dal contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, puo’, in deroga alle previsioni di cui all’articolo 18, comma 10, della legge 20 maggio 1970, n. 300, revocare in ogni tempo il recesso purche’ contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, di cui agli articoli da 19 a 22, a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri ne’ sanzioni per il datore di lavoro.». 1-bis. Fino al 17 agosto 2020 la procedura di cui all’articolo 47, comma 2, della legge 29 dicembre 1990, n. 428, nel caso in cui non sia stato raggiunto un accordo, non puo’ avere una durata inferiore a quarantacinque giorni.
DECRETO LEGGE 104/2020 in vigore dal 15 agosto 2020
Art.lo 14
- Ai datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 di cui all’articolo 1 ovvero dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali di cui all’articolo 3 del presente decreto resta precluso l’avvio delle procedure di cui agli art.li 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991 n. 223 e restano altresi’ sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, gia’ impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto.
- Alle condizioni di cui al comma 1, resta, altresi’, preclusa al datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facolta’ di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art.lo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e restano altresi’ sospese le procedure in corso di cui all’articolo 7 della medesima legge.
- Le preclusioni e le sospensioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano nelle ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attivita’ dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della societa’ senza continuazione, anche parziale, dell’attivita’, nei caso in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attivita’ che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’art.lo 2112 c.c. ovvero nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente piu’ rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo, a detti lavoratori e’ comunque riconosciuto il trattamento di cui all’art.lo 1 del decreto legislativo 4 marzo 2015 n. 22. Sono altresi’ esclusi dal divieto i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.
- Il datore di lavoro che, indipendentemente dal numero dei dipendenti, nell’anno 2020, abbia proceduto al recesso del contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art.lo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, puo’, in deroga alle previsioni di cui all’art.lo 18 comma 10 della legge 300/1970, revocare in ogni tempo il recesso purche‘ contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, di cui agi art.li da 19 a 22 del D.L. 17 ,marzo 2020 n. 18 convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020 n. 27, a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuita’, senza oneri ne’ sanzioni per il datore di lavoro.
Sulle altre proroghe valgono le stesse considerazioni.
I dubbi e le soluzioni
Le formalità ed ogni altra valutazione comparativa con la legge Costituzionale, pur suscitando molte riserve, non sono in grado di mettere al sicuro il datore di lavoro dal il rischio concreto di una condanna di reintegra. Persa una sola delle tre fasi di giudizio (primo grado, appello e cassazione) e subita l’esecuzione sulle pretese economiche di anche un solo insuccesso, difficilmente il datore di lavoro troverà capienza di restituzione nel patrimonio del lavoratore che, in vista della possibilità di dover restituire quanto ricevuto, se non già nullatenente, avrà certamente tutto il tempo per spogliarsi di ogni apparenza di avere.
In questi casi quindi è opportuno consultarsi con il consulente del lavoro e con uno studio legale che possano assicurare quell’esperienza e quella preparazione adeguata a gestire il problema fin dal primo momento in cui si possa constatare l’avvicinamento della data fissata dal contratto collettivo per la durata del diritto alla conservazione del posto di lavoro.

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