Le locazioni immobiliari


Locazioni ad uso abitativo e non abitativo

N.B. Con il termine locazione si intende l’immobile mentre con il termine (più comune) affitto, si intende l’azienda. L’affitto di azienda ha una disciplina diversa da quella delle locazioni.

Le locazioni immobiliari ad uso abitativo.

La disciplina delle locazioni ha risentito  e tutt’ora risente delle esigenze sociali e politiche legate all’elevato costo degli immobili e degli affitti.

Lo squilibrio tra chi possiede e chi non possiede un immobile è stato colmato nel corso dei decenni da una serie di interventi che hanno lasciato il segno in un tessuto sociale tutt’altro che capace di comprendere le esigenze di governo e le sue soluzioni.

La legge sull’equo canone è stata un esempio di canone politico (equo canone, appunto) che ha inaridito la disponibilità dei proprietari a locare gli immobili che per anni sono stati obbligati a locare soltanto con prezzi preordinati e talvolta ridicoli.

Ne è nata una crescente esigenza di modifiche legislative che, sulla scia della costante emergenza, ha solcato ogni possibile variante di quella legge iniziale fino a raggiungere un equilibrio che ancora richiede assestamenti non più basati su logiche ideologiche, ma socialmente e concretamente tangibili.

Premessa l’applicabilità  a tutti i contratti locativi delle norme generali e speciali del codice civile (articoli 1571 e seguenti del codice civile), nel caso dei beni immobili urbani, il legislatore ha deciso di disciplinare il settore con la legge 9 dicembre 1998 n. 431, la disciplina dettata dalla legge 27 luglio 1978 n. 392 (nota come legge dell’equo canone) e dal decreto legge 11 luglio 1992 n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992 n. 359.

Dette norme erano comunque intrise di norme limitative dell’autonomia delle parti tanto che il canone era determinato da parametri legali per la durata di 4 anni + 4, salvo disdetta.

Per gli immobili di diversa destinazione urbanistica, invece la L. 392 del 1978 prevedeva ed ancora prevede esclusivamente una durata minima di 6 anni (9 anni per immobili destinati ad attività alberghiere), lasciando libera ogni altra determinazioni alla contrattazione delle parti.

Per gli immobili ad uso abitativo è da ricordare che con le modifiche della legge 333 del 1992 e poi quelle della legge 431 del 1998 si è andato profilando un sistema sempre più aperto alla determinazione di parte con la creazione di un solco della disciplina previgente attraverso la significazione di un vero e proprio sistema bipolare.

Da un lato infatti vi un sistema a canone libero, per il quale la legge ha previsto una durata minima di 8 anni (4+4) salvo disdetta, con le modalità e le ipotesi previste dalla normativa.

Dall’altro vi è invece una modalità calmierata nella quale, ad una durata inferiore (3+2) si contrappone una determinazione del canone vincolata dalla contrattazione di settore tra i sindacati dei proprietari edili e quello degli inquilini.

Detta modalità, facoltativa per le comuni abitazioni, è rimasta obbligatoria in alcuni Comuni per locazioni transitorie non turistiche o quella nei confronti di categorie specifiche (es. studenti universitari).

Altra rilevante novità è stata la previsione dell’obbligo, a pena di nullità, della forma scritta del contratto avente ad oggetto beni immobili ad uso abitativo.

Viene inoltre stabilito (art. 13 legge 431 del 1998) che il canone dovuto è quello stabilito all’interno del contratto scritto e registrato. Tale previsione non esclude però la possibilità di addivenire ad un accordo transattivo tra le parti (così Cass. sent. n. 5253 dell’11 giugno 1997).

È prassi diffusa quella di legare il canone all’indice dei prezzi al consumo per famiglie di operai ed impiegati (dati ISTAT). Nessuna previsione in senso difforme o limitativa a tale modalità di determinazione, è stata prevista nella legge 431/1998.

Solo nel caso delle locazioni convenzionate/calmierate, il Decreto Ministeriale delegato del 30 dicembre 2002 ha previsto la possibilità di aggiornare il canone agli indici ISTAT nella misura non superiore al 75% della variazione. Nei contratti antecedenti all’entrata in vigore della legge 431 del 1998 si applica ancora l’art. 24 L. 392/78.

Fondamentale cautela da intraprendere nella stipula di un contratto locativo è quella di verificare la solvibilità del potenziale conduttore (redditi e patrimonio complessivo). In caso di carenza delle predette garanzie si potrebbe rendere necessaria la garanzia di altro soggetto solvibile, che si impegni ad ottemperare agli obblighi per conto del conduttore. Sarebbe opportuno che detta garanzia si estenda anche a tutti i danni che potrebbero essere occasionati dal rapporto locatizio.

Altro strumento di garanzia per il locatore è la cauzione. L’art. 11 della legge 392 del 1978, tutt’ora in vigore, vieta un deposito cauzionale che superi le 3 mensilità del canone (peraltro produttive di interessi legali). Infatti l’obbligo di restituzione della cauzione nasce alla cessazione del rapporto, solo se il conduttore ha rispettato le proprie obbligazioni contrattuali.

È inoltre facoltà del solo conduttore, inserire nel contratto la facoltà di recedere con un preavviso di 6 mesi. Senza tale previsione il conduttore può recedere in caso di inadempimento del locatore (con preavviso semestrale) ovvero sempre con il medesimo preavviso “ricorrono gravi motivi” (art. 4 legge 392/78).

Nel caso in cui il conduttore rilasci l’immobile ed il locatore ne prenda atto senza contestazione, il contratto deve ritenersi risolto per volontà congiunta delle parti.

Dall’altro lato, il proprietario, potrà risolvere il contratto antecedentemente alla scadenza naturale solo in conseguenza di un inadempimento del conduttore rilevante ai sensi dell’art. 5 della L. 392/78 (20 giorni di ritardo nel pagamento dei canone ed accessori per almeno due mensilità). Per ipotesi differenti vi sarà ovviamente da ricondurre la gravità della condotta alle disposizioni previste nel contratto o in ogni caso poste alla valutazione dall’autorità giudiziaria.

È inoltre previsto che il proprietario possa (art. 3 L. 431/98) alla prima scadenza contrattuale (terzo o quanto anno), con preavviso almeno semestrale, risolvere il contratto per una delle ragioni tassativamente previste tra cui a mero titolo esemplificativo vi sono:

  • necessità di utilizzare l’immobile a fini abitativi, commerciali, artigianali o professionali propri o del coniuge o parenti entro il secondo grado;
  • disponibilità per il conduttore di un alloggio praticabile per il medesimo utilizzo e nel medesimo Comune;
  • esigenze di opere edilizie incompatibili con il perdurare della locazione.

Ogni comunicazione inerente la disdetta dovrà avvenire mediante raccomandata A/R.

Questione di certo interesse è il c.d. diritto di prelazione o riscatto previsto a favore del conduttore nel caso di alienazione del bene oggetti del contratto di locazione (art. 38 e 39 Legge Equo Canone – rinvio previsto dall’art. 3 L. 431/98). Tale previsione stabilisce l’onere per il proprietario di informare il conduttore delle modalità e determinazioni inerenti la vendita con l’invito a far valere o meno il proprio diritto (per l’adesione è necessario comunicare la decisione entro 60 giorni con comunicazione a mezzo ufficiale giudiziario offrendo parità di condizioni). Il pagamento della somma dovrebbe essere versato entro 30 giorni, contestualmente alla sottoscrizione dell’atto di compravendita o preliminare.

Nel caso in cui il proprietario ometta la predetta comunicazione informativa, il conduttore potrà entro sei mesi dalla trascrizione del contratto di vendita, riscattare l’immobile dal terzo acquirente. Ove venga esperita tale azione, il pagamento dovrà avvenire entro 3 mesi dalla prima udienza del giudizio, ovvero in caso di opposizione il termine scatterà dalla definizione del giudizio.

 

Le locazioni immobiliari ad uso non abitativo.

Le locazioni aventi ad oggetto specifici beni (sotto elencati) ha una disciplina diversa da quella sopra esposta a partire dalla durata delle stesse che non potrà essere inferiore a 6 anni. Nello specifico sono soggetti a tale disciplina gli immobili finalizzati:

– ad attività industriali, commerciali o artigianali (essendo indipendente il tipo di attività o le modalità di gestione dell’attività);

– ad attività turistiche (art. 2 L. 326/68) tra cui per esempio Aziende di soggiorno, ostelli, villaggi turistici, campeggi, ecc…;

– ad attività abituale e professionale di lavoro (artigianale, professionale, artistiche gestite con professionalità);

– ad attività ricreative, assistenziali o culturali;

– a sedi di partiti e sindacati.

Nel caso in cui l’immobile sia adibito ad attività alberghiera, la durata del contratto non potrà essere inferiore a 9 anni. Questi i limiti minimi.

È però consentito prevedere termini più elevati, ma in caso di durate durata superiore ai 9 anni è necessario che il contratto venga trascritto nei pubblici registri immobiliari.

Contratti di durata inferiore sono possibili, ove l’attività sia per sua natura transitoria (durata di una fiera, attività stagionali, ecc.). In caso di utilizzi diversi e contemporanei nel medesimo immobile si dovrà tenere conto, per la normativa applicabile (es. durata minima), all’utilizzo prevalente.

In riferimento all’uso è necessario specificare che l’elemento qualificativo non è quello dichiarato nel contratto, ma quello effettivo (art. 80 Legge Equo Canone). L’adibizione dell’immobile ad un’attività diversa da quella concordata legittima il proprietario a richiedere la risoluzione del contratto entro 3 mesi dall’avvenuta conoscenza della circostanza (es. adibire – senza consenso – un immobile destinato a magazzino ad attività commerciale, ecc…).

Anche il sub-affitto deve essere autorizzato dal locatore.

La nuova situazione, di vantaggio per il conduttore, consente al locatario di far valere la perdita di avviamento e gli mantiene il diritto di prelazione o di nuova locazione. La volontà del legislatore è quella di evitare che le parti si accordino per simulare una disciplina normativa diversa da quella effettiva.

In riferimento alle ipotesi di recesso il locatore non potrà recedere prima dei 6 o 9 anni di prima durata del contratto di locazione salvo inadempimento del conduttore; mentre quest’ultimo potrà prevedere contrattualmente tale facoltà, con preavviso semestrale (anche non motivato).

Senza tale previsione il conduttore potrà recedere solo ove ricorrano gravi motivi (che dovranno essere peraltro estranei alla volontà del conduttore, imprevedibili, sopravvenuti e che rendano eccessivamente gravoso la prosecuzione del contratto).

I contratti ad uso non abitativo, ove non comunicate disdette (12 mesi prima) si rinnovano di 6 anni in 6 anni (o 9 in caso di attività alberghiere), senza aumenti e salvo indicizzazione ISTAT se prevista. La disdetta alla prima scadenza è sempre ammessa da parte del conduttore, mentre il proprietario potrà negare il rinnovo solo in casi determinati dall’art. 29 L. 392/78 ovvero, ad esempio, per: adibire l’immobile ad abitazione propria o di parenti entro il secondo grado; adibire l’immobile ad attività propria o di parenti entro il secondo grado in linea retta di attività elencate dall’art. 27 L. Equo Canone; procedere ad interventi edilizi incompatibili con la prosecuzione del contratto; ecc…

In tali ipotesi, il proprietario può negare il rinnovo alla scadenza con comunicazione (da inviare con 12 o 18 mesi di anticipo) avente ad oggetto la specifica ragione sulla quale si fonda la volontà di cessare il rapporto. È ovvio che in caso di controversia il Giudice valuterà la serietà e la effettività dell’esigenza vantata.

Tale previsione è una forte garanzia nei confronti del conduttore (art. 31 legge 392/78), che entro sei mesi dalla riconsegna potrà accertare se le attività o gli usi alla base della richiesta del proprietario sono stati posti in essere. In caso contrario, il conduttore potrebbe pretendere la messa in pristino del rapporto locativo, il rimborso delle spese di trasloco ed ogni ulteriore danno subito (non eccedente 48 mensilità del canone) oltre ovviamente alla perdita da avviamento commerciale, con le modalità previste dalla legge.

Quest’ultima voce risarcitoria, volta a tutelare l’attività nel sua essenza commerciale/produttiva è prevista quando cessi una locazione avente ad oggetto immobili adibiti ad attività industriali, artigianali o commerciali con rapporto diretto al pubblico, turistiche o alberghiere. È esclusa quando, pur nell’ambito di tale casistica, il rapporto si risolve per inadempimento, disdetta o recesso del conduttore ovvero lo stesso (in caso di società) sia stato oggetto di procedura concorsuale.

In sintesi potremmo dire che l’indennità spetta per cessazioni non imputabili al conduttore. L’indennità è quantificata in 18 (per le attività commerciali, artigianali, industriali o turistiche) o 21 (per le attività alberghiere) mensilità dell’ultimo canone. L’indennità si raddoppia nel caso in cui l’immobile venga adibito dal proprietario o da terzi alla medesima attività (o attività similari inserite nella medesima tabella merceologica) entro un anno del rilascio dell’immobile.

Tali ipotesi di indennità non sono legate alla prova di un danno effettivo, ma derivano da una presunzione legale. È da considerare inoltre che il pagamento della predetta indennità di avviamento è condizione necessaria affinché il proprietario possa intraprendere azioni legali di sfratto; infatti il conduttore potrà trattenere l’immobile fino al pagamento previa corresponsione dei canoni concordati, ma  solo ove l’immobile sia sempre utilizzato dal medesimo.

L’indennità di avviamento non è rinunciabile in sede di stipula del contratto originario ed ogni clausola in tal senso sarebbe nulla (art. 79 L. Equo Canone). Ciò non avviene quando la rinuncia o la transazione sono concordate al momento della risoluzione.

Analogamente a quanto accade nelle locazioni abitative, l’art. 40 L. 392/78 prevede anche nelle locazioni aventi ad oggetto attività con contatto con il pubblico dei consumatori, il diritto di prelazione (nella vendita e nel rinnovo di locazione a terzi).

Il diritto dovrà essere esercitato nelle medesime forme già esposte per gli immobili ad uso civile abitazione.

Il diritto è escluso (oltre che nelle attività non aventi ad oggetto contatto con il pubblico) anche in quelle attività professionali o a carattere transitorio o quando la locazione ha ad oggetto immobili complementari a stazioni, porti, aeroporti, aree di servizio, alberghi o villaggi turistici.

Studio Legale Tirrito

 

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Avvocato del lavoro. Tutela negli accertamenti INL-INPS-INAIL e nelle cause di lavoro.