Lavoro: agevolazioni, incentivi o disincentivi?


Il mondo del lavoro contemporaneo appare ricco di contraddizioni: da un lato numerosi incentivi all’occupazione, dall’altro angoli del diritto che finiscono per essere interpretati (e a volte utilizzati) come veri e propri disincentivi all’assunzione.

Incentivi all’occupazione e agevolazioni: le problematiche

Abbiamo già evidenziato in diverse occasioni le principali problematiche in merito agli incentivi al lavoro, soprattutto nell’ambito delle agevolazioni contributive: si tratta spesso di manovre che mirano ad incrementare l’occupazione di soggetti che risultano in difficoltà nel trovare una collocazione nel mercato del lavoro contemporaneo; un esempio è l’agevolazione contributiva nell’assunzione di lavoratori con un’età superiore ai cinquant’anni.

La chiave di lettura del problema deve essere ricondotta al funzionamento di fatto delle agevolazioni stesse: nella maggior parte dei casi infatti per poter usufruire delle agevolazioni è richiesta una grande quantità di requisiti che, molto probabilmente, chi ha davvero bisogno di utilizzare le agevolazioni, non possiede. Alcuni requisiti inoltre risultano talmente specifici e complessi che il datore di lavoro si percepisce demotivato, soprattutto con la consapevolezza del rischio di un futuro recupero delle agevolazioni ricevute, con un terribile effetto domino. Quindi, quando i professionisti spiegano alle aziende che per utilizzare una certa agevolazione devono aver il DURC regolare e mantenerlo tale (e abbiamo già descritto le numerose trappole in merito alla regolarità del DURC), che l’assunzione deve essere a tempo pieno e indeterminato e che deve perfino rappresentare un incremento della media occupazionale rispetto ai dodici mesi precedenti, nella maggior parte dei casi le aziende preferiscono lasciar perdere.

Disincentivi all’occupazione: contraddizioni contemporanee

I datori di lavoro sono in difficoltà, di fronte alle richieste sempre più frequenti da parte dei lavoratori, di essere assicurati per un numero di ore inferiore rispetto a quelle che effettivamente sono chiamati a svolgere, oppure di non essere assunti affatto.

Storicamente la lotta alla piaga sociale del lavoro nero, vedeva le istituzioni che si impegnavano a sensibilizzare i datori di lavoro per incentivarli ad assumere regolarmente i lavoratori, versare la contribuzione e assicurarli contro eventi quali infortuni o malattia.

Il panorama del lavoro contemporaneo invece contempla (oltre a numerosi lavoratori che si impegnano quotidianamente nella propria professione) una serie di istituti che complessivamente sembrano fornire una certa predisposizione specializzata verso l’abuso di tutte le manovre istituite per fini di sostegno all’occupazione o favorire disoccupati effettivi e nuclei familiari con un reddito basso.

Numerosi datori di lavoro stagionali descrivono come, già in fase di colloquio preassuntivo, i lavoratori si informino, come è logico che possa essere in un contesto in cui ciascuno tende a curare i propri interessi, tanto sulla retribuzione quanto sulla futura disoccupazione: “Ma in questo modo, quanto mi dura la disoccupazione?” (ASPI o Naspi poco importa come la si chiama. Consapevoli che spesso i datori di lavoro non hanno a propria disposizione nemmeno le conoscenze tecniche per rispondere a questo genere di domande non è loro competenza farlo), ciò che rileva è soprattutto l’utilizzo assolutamente programmato e non incidentale della NASPI: non stiamo parlando di un lavoratore che, pur tentando di trovare un nuovo lavoro risulta impossibilito e decide di accedere, come suo diritto, agli aiuti messi a disposizione da parte dello stato; si tratta invece di un soggetto che, prima ancora di aver intrapreso la prestazione lavorativa, programma già l’utilizzo della NASPI, senza l’apparente intenzione di trovare un altro lavoro e con la consapevolezza mirata di chi lo ha già fatto in passato.

Tutto questo è paradossalmente legittimo.

Le situazioni paradossali

Nel corso degli ultimi anni sono emerse vicende paradossali, molte delle quali sono finite sui telegiornali: veri e propri esperti del diritto che si destreggiavano tra lavoretti a nero, Reddito di Cittadinanza, Bonus Disoccupati Una Tantum, Carta Acquisti per soggetti in condizioni economiche disagiate, e Assegno di Disoccupazione per l’Impiego (nato per sostenere economicamente i disoccupati di lunga durata che hanno esaurito la NASPI).

Si è perfino sentito dire di una coppia di coniugi che si alternavano come lavoratori domestici presso l’abitazione di una persona anziana: in realtà soltanto la signora lavorava liberando lui per lavoretti di giardinaggio utilizzando questo sistema per mantenere il reddito basso e sfruttare ciclicamente a turno gli aiuti economici possibili.

Molte altre vicende paragonabili continuano a ripetersi ogni giorno, con un circolo vizioso che finisce inesorabilmente per alimentare se stesso: in capo a questo genere di individui infatti non sorge nemmeno il timore di ricevere sanzioni che comunque non pagherebbero.

Non ci dilungheremo ulteriormente sui dettagli di queste misure, proprio per evitare che questo articolo venga utilizzato come una guida per abusare di questi strumenti normativi: ci limitiamo a dire che molti sono cumulabili e altri sono sfruttabili in periodi alternati nel tempo, al punto da creare situazioni paradossali, (parzialmente) legali, che trasformano in un lavoro retribuito l’arte di non avere affatto un lavoro retribuito.

(IR)regolare quotidianità

Lasciando un momento da parte queste situazioni estreme e focalizzando l’attenzione sui problemi di minore entità e di maggiore frequenza, come quello che citavamo precedentemente in merito ai lavoratori stagionali, si rende necessaria una riflessione critica:

Perché sta succedendo tutto questo?

Si tratta certamente di una domanda apparentemente semplice che prevede una risposta difficile; non si possono esaurire tutti i dettagli di una questione di simile portata in questa sede. Certamente possiamo ipotizzare che si tratti di una concatenazione di motivazioni differenti: dal periodo storico, all’evoluzione del diritto, ai difetti di alcune frammentate politiche del lavoro che comunque non possiamo escludere e perfino la perdita di fiducia da parte della collettività nel sistema pensionistico. Il versamento della contribuzione infatti ha un rilievo assoluto per quanto riguarda il diritto alla futura fruizione della pensione: le precedenti generazioni di lavoratori lottavano per ricevere la contribuzione anche (e forse soprattutto) perché sapevano che un giorno la contribuzione avrebbe consentito loro di andare serenamente in pensione. Il continuo aumento dell’età pensionabile, il passaggio dal metodo retributivo a quello contributivo e l’utilizzo delle così dette “finestre mobili” che vanno a spostare ulteriormente nel tempo l’effettivo momento di fruizione della pensione, hanno fatto ulteriormente perdere nel corso del tempo la fiducia della collettività.

Così sembra che oggi in tanti preferiscano chiedere al datore di lavoro di essere assicurati per un numero di ore limitato e di ricevere in nero, oltre alla paga prevista dalla contrattazione collettiva, una parte di quello che l’azienda avrebbe speso nei costi previdenziali e assicurativi: meno garanzie in cambio di una maggiore quantità di denaro. Tutto questo non giova sia al singolo che alla collettività.

Chi rischia davvero?

I rischi di questi accordi Contra Legem sono a discapito anche del datore di lavoro: oltre all’ormai nota Maxi Sanzione per il lavoro nero, tutte le possibili problematiche derivanti da eventuali controlli finiscono per interpretare la situazione di fatto come se il datore di lavoro avesse rifiutato di garantire al personale i diritti minimi stabiliti dalla legge e come se il lavoratore avesse subito la violazione di un diritto.

Non mancano casi in cui il datore di lavoro si vede ricevere vertenza da parte del lavoratore che aveva insistito per stipulare gli accordi illeciti al centro della vertenza stessa.

E ancora una volta, il ritorno del già citato effetto domino, con la perdita delle agevolazioni contributive e con un risvolto parzialmente ironico: riprendendo il titolo dell’articolo, situazioni come quella appena descritta sembrano proprio la perfetta metafora dei disincentivi che hanno la meglio sugli incentivi, ovvero gli accordi illeciti, creati per abusare della normativa, che oltre al danno intrinseco e logico, finiscono per far perdere all’azienda anche il frutto sano degli incentivi all’occupazione.

Le nostre conclusioni

Siamo perfettamente consapevoli che le situazioni descritte sono estremamente complesse e che non esiste una soluzione semplice ed univoca per porre rimedio agli abusi normativi della società contemporanea, ma una effettiva semplificazione aiuterebbe.

Vogliamo prendere le distanze da qualunque impostazione di natura politica e non ci dichiariamo contrari a prescindere agli aiuti promossi dallo Stato: sono tutte manovre pensate per favore i soggetti che hanno bisogno di sostegno economico. Gli obiettivi dichiarati sono mediamente tutti apprezzabili anche se gli eccessi di cumulo di benefici ed assistenze rischiano di far perdere di vista l’equilibrio che il legislatore dovrebbe consapevolmente assicurare e ben spiegare.

Tuttavia non possiamo fare a meno di osservare le problematiche che di fatto coinvolgono ad oggi questo genere di misure: da parte delle istituzioni una riflessione e una rivisitazione sarebbe auspicabile e questa riflessione non dovrebbe sollecitare le menti dei truffatori che abusano del diritto. Ogni riflessione dovrebbe invece spingere a meditare ogni diffusa insoddisfazione e dalla perdita di fiducia dei cittadini che vogliono credere in una Repubblica Democratica fondata sul lavoro.