Sulla questione si è pronunciato il Giudice del Lavoro del Tribunale di Lucca – sentenza n. 278 del 16 maggio 2019: Sentenza Lavoro Lucca 278-19
Oggetto della decisione è la legittimità del contributo ivs commercianti addizionale per redditi diversi da quelli dell’attività per la quale è assicurato.
la posizione dell’inps
L’INPS è solita inglobare nell’imponibile del contributo IVS commercianti anche i redditi che sono avulsi dall’attività commerciale svolta dall’assicurato.
Spesso pertanto gli assicurati IVS commercianti si trovano in cassetta notifiche di avvisi di addebito a prima vista incomprensibili e che poi, a seguito di un approfondimento, risultano riferibili a redditi estranei ovvero ari redditi derivanti dalle partecipazioni che l’assicurato ha ricevuto da altre società.
L’ente è solito utilizzare, ad avviso di questo studio, impropriamente, senza neppure citarlo né motivarlo, l’art. 3 bis del D.L. 384 del 1992 convertito in L. 438 del 1992.
La normativa
prevede che “…il contributo annuo dovuto per i soggetti di cui all’art.lo 1 della legge 2 agosto 1990 n. 233, e’ rapportato alla totalita’ dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono…”
la giurisprudenza
Quello di cui stiamo parlando è la fondatezza di un contributo inps su redditi estranei all’attività .
La giurisprudenza sul citato articolo della legge 233/90 ha avuto una evoluzione poco chiara nella sua interpretazione che, nelle sue ultime manifestazioni, comincia a delineare aspetti del tutto controversi.
L’INPS per anni ha fatto riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale n. 354 del 2001.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 354 del 2001, da un lato ammette che sia possibile estendere l’ambito reddituale contributivo, dall’altro consente tale estensione solo mediate l’utilizzo di due differenti presunzioni.
• Da un lato presume che l’attività terza (per la quale non è aperta la posizione IVS commerciati) sia una attività commerciale – vedasi punto 4 delle considerazioni in diritto, in cui la Corte fa riferimento a contesti economici che presuppongono lo “svolgimento di una attività produttiva …”.
• Dall’altro presume che trattandosi di società di persona a ristretta base sociale e familiare, il reddito prodotto sia assimilabile al lavoro anche del soggetto che è mero socio di capitale.
Tali presunzioni, oltre ad ammettere la prova contraria, sono poste a garanzia di una corrispondenza tra lavoro (ancorché meramente presunto) ed imponibile contributivo.
In sostanza, la Suprema Corte si premura di non perdere il connubio tra lavoro e imponibile contributivo, principio cardine di tutto il sistema previdenziale, per ragioni che vanno bel oltre la mera sistematicità.
Se tale estensione e presunzione, può essere ammissibile in contesti economici nei quali le società terze interessate dall’estensione contributiva sono di natura commerciale, ben diverso è il caso che ci occupa trattandosi di società che NON operano in ambito commerciale.
Infatti, la sentenza della Corte Costituzionale nella pronuncia del 2001 sopra citata tratta esclusivamente di società di persona aventi natura commerciale.
A conferma “Orbene, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 354/2001, ha affrontato proprio il problema della disparità di trattamento tra il socio di società di persone avente natura commerciale …” Sent. n. 752 del 25 giugno 2015, Corte di Appello di L’Aquila.
i redditi estranei all’attività
Ma cosa avviene nel caso in cui l’assicurato percepisce redditi estranei all’attività commerciale o, per fare un esempio, redditi da locazione di immobili?
Per meglio chiarire il rischio interpretativo che potrebbe derivare da una erronea interpretazione del dato fattuale e normativo, si riporta un passaggio della Sent. N. 752 del 25 giugno 2015, Corte di Appello di L’Aquila:
“… il Collegio che, pur se l’art. 3 bis d.l. 384/1992 fa riferimento alla “totalità dei rediti di impresa denunciati a fini irpef”, occorre, tuttavia, tenere conto che il rapporto previdenziale non può prescindere, per definizione, dalla sussistenza di un’attività, di lavoro dipendente o autonomo, che giustifichi la tutela corrispondente, atteso che, diversamente ragionando, ogni conferimento di capitali in società esercente attività di impresa dovrebbe comportare l’inserimento del reddito corrispondente nell’imponibile contributivo. Ne deriva che il concetto di “totalità dei redditi di impresa denunciati a fini Irpef” deve essere riferito esclusivamente all’impresa commerciale o artigiana in relazione alla quale l’assicurato è iscritto alla corrispondente gestione …”.
Tale concetto espresso in riferimento alle società di capitali deve essere applicato anche ai soci di capitale di società di persone che non svolgono attività commerciale.
Tant’è vero che la Corte Costituzionale, presumendo una attività lavorativa, lascia spazio alla possibilità della prova contraria.
Nel caso di specie la mera riscossione degli affitti, costituisce una attività sociale talmente minimale (sotto il profilo gestionale) da non essere assoggettabile alla contribuzione commercianti.
Questo anche per la totale assenza dei requisiti di cui all’art. 1 comma 203 della legge 662 del 1996.
Nulla viene spostato dalla recente Sentenza della Corte di Cassazione n. 29779/17, dal momento che anche la stessa (pur superando illegittimamente la necessaria verifica della presunzione che la sentenza della Corte Costituzionale del 2001 aveva ritenuto alla base dell’estensione contributiva), riguarda sempre una attività terza ma, contrariamente al caso che ci occupa, di natura commerciale. Nel caso specifico affrontato dalla Corte, si trattava di una macelleria.
Il presupposto logico per l’estensione contributiva (verificate o meno le presunzioni indicate dalla Corte di Costituzionale nella Sent. 354/2001) è la natura COMMERCIALE dell’attività sociale i cui redditi si pretendono assoggettare a contributi.
Non è così invece quando si tratta di attività avulse da partecipazioni lavorative assoggettabili a contributo IVS commercianti.
L’INPS vorrebbe quindi utilizzare, quale cavallo di Troia, l’apertura di una posizione contributiva come commerciante, per introdurre come base imponibile redditi derivanti da posizioni diverse ed avulse, non solo da qualsivoglia attività lavorativa, ma anche da ogni attività commerciale.
Sulla non assoggettabilità a contribuzione dei redditi di cui è causa si vedano i precedenti specifici in relazione all’oggetto tra cui codesto Tribunale (Trib. Lucca Sent. n. 253 del 2014 Sez. Lavoro – Doc. 11), la Corte di Appello di Firenze (Corte di Appello di Firenze n. 606 del 2015 Sez. Lavoro – Doc. 12), nonché sempre sulla medesima posizione la Suprema Corte di Cassazione Sez. Lavoro con la sentenza n. 27588 del 30 dicembre 2016.
In ultimo la recente sentenza n. 278 del 16 maggio 2019 del Giudice del Lavoro di Lucca ha fatto ulteriore chiarezza sul punto stabilendo che:
“E’ giurisprudenza consolidata di questo tribunale, condivisa anche da questo giudice, che tale attività sia da qualificare come non rientrante tra quelle il cui svolgimento, in forma societaria, determina a carico dei soci, anche nella ipotesi in cui si occupino prevalentemente della sua gestione, l’obbligo di iscrizione alla Gestione Commercianti.
Tale orientamento trova un ben più autorevole pronunciamento della Corte di Cassazione, la quale con la nota ordinanza 11 febbraio 2013 n. 3145, ha stabili non solo quali siano i requisiti oggettivi e soggettivi che determinano il sorgere dell’obbligo contributivo, ma ha anche puntualmente statuito in merito alla fattispecie oggetto di causa, ovvero che la “locazione di immobili di proprietà della stessa società costituisce in termini oggettivi una modalità di godimento dei beni medesimi, non diversamente da quanto accade nella similare ipotesi in cui più soggetti contitolari della proprietà di più beni immobili, ricevuti ad esempio per successione ereditaria, diano in locazione gli stessi anziché goderli direttamente”.
Da ciò ha fatto derivare l’ulteriore principio in base al quale “presupposto imprescindibile affinché sussista detto obbligo è costituito dall’esercizio di attività imprenditoriale di natura commerciale, che non ricorre nell’ipotesi in cui la società di persone, di cui il preteso contribuente è socio, si limiti a locare immobili di proprietà ed a percepire il relativo canone dilocazione. La locazione di beni immobili può costituire attività commerciale ai fini previdenziali solo ove venga esercitata nell’ambito di una più ampia attività di prestazione di servizi, quale attività di intermediazione immobiliare”.
Tale orientamento è stato da ultimo ribadito dalla Suprema Corte con la sentenza della sezione lavoro n. 17643/16.
La pronuncia in questione ha, infatti, escluso l’obbligo di iscrizione alla gestione commercianti in un’ipotesi del tutto sovrapponibile a quella del caso di specie, avente ad oggetto “un’attività che non era finalizzata alla prestazione di servizi in favore di terzi, né ad atti di compravendita o di costruzione, per cui la stessa non esorbitava da quella che era la semplice gestione degli immobili concessi in locazione. [..] il presupposto imprescindibile è che per l’iscrizione alla gestione commercianti vi sia un esercizio commerciale, la gestione dello stesso come titolare o come familiare coadiuvante o anche come socio di s.r.l. che abbia come oggetto un esercizio commerciale. [..] Il che non ricorre nella specie come descritta in fatto dalla sentenza impugnata, contraddistinta dallo svolgimento della sola attività di riscossione dei canoni di soli due immobili concessi in locazione. Va quindi esclusa la ricorrenza della attività a cui la legge ricollega l’obbligo di iscrizione e il versamento di contribuzione alla gestione commercianti, a prescindere da ogni considerazione sulla attività prevalente.”
Ribadito quanto sopra, occorre coordinare i due aspetti, ovvero il disposto normativo che fissa in tutti i redditi di impresa prodotti la base di calcolo per il contributo previdenziale e l’esclusione dei redditi prodotti dalle imprese di mera gestione immobiliare da tale base.
Questo giudice ritiene che tale dualismo vada superato nel senso che tutti i redditi di impresa prodotti costituiscano base per il calcolo previdenziale, ad esclusione dei redditi conseguenti alla mera attività di locazione immobiliare.”
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