Il Covid 19 sospende e complica il licenziamento.
L’art. 46 del DECRETO-LEGGE 17 marzo 2020, n. 18 (GU n.70 del 17-3-2020) dispone che:
“A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 è precluso per 60 giorni e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020. Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604”.
Il blocco del licenziamento decorre dal 17 marzo 2020 e durerà per 60 giorni.
La prima parte dell’articolo è dedicata ai licenziamenti collettivi (per l’espresso riferimento agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223) e dispone che tutte quelle procedure avviate dopo il 23 febbraio 2020 devono essere congelate per 60 giorni decorrenti dall’entrata in vigore del Decreto Cura Italia e quindi sino al 16/05/2020.
La seconda parte dell’art. 46 è invece dedicata – stante l’espresso riferimento all’art. 3 della l. 604/66 – ai licenziamenti individuali per motivi economici e si estende a tutte le imprese a prescindere dal numero dei dipendenti impiegati.
Ai sensi di tale disposizione, nessuna azienda può procedere ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo per 60 giorni decorrenti dall’entrata in vigore del Decreto Cura Italia e quindi sino al 16/05/2020.
Il tenore letterale dell’art. 46 suggerisce di ritenere che debbano essere sospese debbano essere sospese anche tutte quelle procedure finalizzate al licenziamento individuale per motivi economici avviate a partire dal 24 febbraio 2020.
Ciò anche laddove la motivazione di avvio della procedura fosse diversa e non riguardante l’emergenza sanitaria COVID 19.
Per fare un esempio pratico si pensi alle procedure di cui all’art. 7 l. 604/66 (tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi la Commissione Provinciale di Conciliazione presso l’Ispettorato del Lavoro); tutte quelle avviate a partire dal 24 febbraio 2020 anche per motivi diversi dal coronavirus, si ritiene debbano essere sospese.
La sospensione si applica anche laddove il tentativo di conciliazione sia concluso e si debba solamente inviare la lettera di licenziamento.
Per questa bisognerà attendere la fine del periodo di sospensione.
cosa accade al lavoratore licenziato?
Detto questo, che fare se l’azienda ha inviato una lettera di licenziamento dopo la data del 17 marzo 2020 (data di entrata in vigore del Decreto Cura Italia)?
Un licenziamento irrogato dopo tale data e durante tutto il periodo di blocco verrebbe a configurarsi come illegittimo se non addirittura nullo.
Il rischio della nullità viene in considerazione per l’analogia tra questa situazione ed altre già contemplate dall’ordinamento; è prevista proprio la nullità del provvedimento risolutivo (si pensi al divieto di licenziamento per della lavoratrice in maternità sino al primo anno di vita del bambino).
Onde evitare o comunque limitare tali rischi, si ritiene che una soluzione possa essere quella di inviare una nuova lettera lavoratore, comunicandogli che il licenziamento irrogato e gli effetti dello stesso devono ritenersi – ai sensi dell’art. 46 Decreto-legge 18/2020 – sospesi sino al 16/05/2010 (termine della sospensione). Il medesimo – fermo restando il fatto che l’azienda non intende avvalersi delle sue prestazioni lavorative – verrà collocato per l’intero periodo sospensione in cassa integrazione (purché, chiaramente, sia stata richiesta dall’azienda).
Una tale soluzione appare preferibile rispetto ad una revoca del licenziamento che pone problemi sia per la sua applicabilità a tutti i datori di lavoro (la sua collocazione all’interno dell’art. 18 l. 300/70 porta, alcuni, ad escludere che tale istituto possa applicarsi alle aziende con meno di 15 dipendenti (fatte salve le ipotesi di nullità del licenziamento) sia per le tempistiche della revoca, che rischierebbero di non essere compatibili con quelle del caso che ci occupa.
Avv. Matteo PENNATI
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