Il Tribunale di Genova, pronunciandosi in una causa per risarcimento contro Fincantieri, ha stabilito in € 695.000,00 il danno subito dalla moglie e dal figlio di un operaio deceduto a causa di una patologia derivante da esposizione all’amianto (asbestosi od altra patologia correlata all’esposizione – vedi sentenza della sezione lavoro del 21 gennaio 2022 -).
Stessa dimensione di condanna è stata inflitta anche al Ministero della Difesa dallo stesso Tribunale di Genova che ha quantificato a favore dei familiari un risarcimento pari ad € 670.000,00.
Morte per amianto: il risarcimento secondo l’attuale scenario giurisprudenziale
Alla base del ragionamento risarcitorio vi è il concetto di “distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione e sulla rassicurazione quotidiana” legato al sistema familiare del defunto.
L’attuale scenario giurisprudenziale non ha fatto mancare neppure una pronuncia della Corte di Cassazione che con la sentenza 17 giugno 2022 Sezione Lavoro n. 19623/2022 ha fornito una sua visione della questione amianto. La Corte di Cassazione, infatti, in un caso di negazione del diritto al risarcimento (l’esito dei giudici di merito con la maturazione del secondo grado del Tribunale di Massa e della Corte di Appello di Genova), ha fornito ulteriori elementi di valutazione secondo i quali “i giudici di appello non hanno fatto corretta applicazione dei menzionati principi di diritto, anche in considerazione del fatto che, nell’atto introduttivo del giudizio, espressamente richiamato nel ricorso di legittimità, erano stati allegati (v., pure, quanto specificato nel secondo motivo, sopra riportato) gli elementi da utilizzare ai fini della prova presuntiva della sofferenza morale;”.
Ha proseguito la Corte nel senso che “… nella fattispecie, per quanto doviziosamente specificato nel ricorso, sono state allegate le basi del ragionamento inferenziale per pervenire, attraverso il ricorso alle presunzioni, alla configurazione del danno morale personalizzato, costituito dall’offesa della personalità morale del lavoratore, sottoposto quotidianamente a pericolo per la propria incolumità, da cui, all’evidenza, è derivata una patente lesione – autonoma rispetto al danno biologico – di diritti inviolabili della persona, oggetto di tutela costituzionale (v., in particolare, artt. 2, 3 e 32 Cost.). Al proposito, va altresì osservato che, con la sentenza n. 2611/2017, le Sezioni Unite hanno ulteriormente chiarito che «il danno derivante dallo sconvolgimento dell’ordinario stile di vita è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, rafforzati dall’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo», sottolineando, ancora, che «la prova del pregiudizio subito può essere fornita anche mediante presunzioni, sulla base di nozioni di comune esperienza, perché la dimostrazione del pregiudizio può essere ricavata anche dall’esame della natura e dall’entità delle immissioni a cui è sottoposto il danneggiato»;
Da quanto tempo sono noti gli effetti lesivi dell’amianto?
Gli effetti dell’esposizione all’amianto sono noti da tempo e l’insorgenza di alcune patologie sono il campanello d’allarme che, con agli adeguati approfondimenti ed appropriati accertamenti, consente di individuarne con affidabile certezza la causa scatenante.
L’esposizione all’amianto è particolarmente lesiva quando le attività di chi lo manipola viene svolta in L’inalazione è quindi lo strumento che crea il contatto con le polveri nocive e lo è al punto tale da rendere particolarmente pericolosi gli ambienti ristretti con scarsa aerazione; quelli che costringono l’operatore a respirarne intensamente le polveri stesse.
Particolarmente aggressive sono le esposizioni a lavorazioni tipo smerigliatura di tubazioni ricoperte da amianto, smantellamento di apparati ricoperti di amianto e simili.
La prova della esposizione (all’amianto detto anche asbesto) deve essere fornita nell’ambito del processo secondo le regole del codice di procedura civile.
La prova della pericolosità deve essere presunta dalla vigente normativa che ne ha dettato regole e cautele fin dal 1898.
Vediamo meglio come si è evoluta la normativa
- L. n. 80 del 17.03.1898
(GU n. 175 del 31.03.1898) in materia di tutela del lavoratore contro gli infortuni e le malattie ha sancito l’obbligo di adozione di presidi di protezione individuali per la difesa dalle polveri, enfatizzando il ruolo dell’approccio protezionistico.
- RD 14 Giugno 1909 n. 442
che approvava il regolamento per il TU della legge per il lavoro delle donne e dei fanciulli, all’art. 29, tab. B, n. 12 includeva la filatura e tessitura dell’amianto tra i lavori insalubri e pericolosi nei quali l’applicazione delle donne minorenni e dei fanciulli era vietata e sottoposta a speciali cautele.
- Dlgt. 6 agosto 1916, n. 1136,
articolo 36, tabella B, n. 13.
- Regio Decreto 7 agosto 1936, n. 1720
che approvava le tabelle indicanti i lavori per i quali era vietata l’occupazione dei fanciulli e delle donne minorenni, prevedeva alla tabella B i lavori pericolosi, faticosi ed insalubri in cui era consentita l’occupazione delle donne minorenni e dei fanciulli, subordinatamente all’osservanza di speciali cautele e condizioni e, tra questi, al n. 5, la lavorazione dell’amianto, limitatamente alle operazioni di mescola, filatura e tessitura.
- RD del 14 aprile 1927, n. 530
che conteneva diffuse disposizioni sulle polveri e sul dovere di protezione dei datori di lavoro nei confronti dei dipendenti.
- Art. 2 “Nei lavori che si compiono nelle aziende industriali e commerciali, nei quali si adoperino materie asfissianti, tossiche infettanti o specificatamente nocive alla salute, o nei quali le dette materie possono prodursi in conseguenza del lavoro stesso, l’esercente è obbligato ad avvertire preventivamente il lavoratore del pericolo cui si espone, nonché ad indicargli i modi di prevenire i danni ed a fornirgli i mezzi di presentazione adatti.”
- Art 17 “in tutti i lavori nei quali si svolgano gas irrespirabili o tossici od infiammabili, qualunque sia il luogo ove vengono eseguiti, e nei locali chiusi nei quali si sviluppino normalmente vapori, odori, fumi o polveri di qualunque specie, l’esercente ha il dovere di adottare provvedimenti atti ad impedirne od a ridurne, per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell’ambiente dove lavorano gli operai.
L’aspirazione dei gas, vapori, odori, fumo o polveri deve farsi, per quanto è possibile, immediatamente vicino al luogo dove si producono”. - Art 18 “E’ proibito far entrare i lavoratori nei pozzi neri, nelle fogne, nei camini, come pure in fosse, in gallerie ed in generale in ambienti od in recipienti, condutture, caldaie e simili, dove possono esservi gas deleteri se non sia stata preventivamente accertata l’esistenza delle condizioni necessarie per la vita, oppure se l’atmosfera non sia stata sicuramente risanata mediante ventilazione con atri mezzi.
- Quando possa esservi dubbio sulla pericolosità dell’atmosfera gli operai devono essere legati con cintura di sicurezza vigilati per tutta la durata del lavoro e, ove occorra, provveduti anche di apparecchi di protezione”.
- Legge 12 aprile 1943, n. 455
che definisce l’asbestosi e la inserisce fra le malattie professionali. Art. 4: “agli effetti della presente legge per asbestosi deve intendersi una fibrosi polmonare… provocata da inalazione di polvere di amianto..……….”.
DPR n. 303 del 19 marzo 1956 articolo 21, ove si stabilisce che nei lavori che danno normalmente luogo alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare provvedimenti atti ad impedire o ridurre, per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell’ambiente di lavoro” aggiungendosi che “le misure da adottare a tal fine devono tenere conto della natura delle polveri e della loro concentrazione“, cioè devono avere caratteristiche adeguate alla pericolosità delle polveri” (altre norme dello stesso Decreto del Presidente della Repubblica 303 – articoli 9, 15, 18, 19, 20, 25 – disciplinano, poi, il dovere del datore di lavoro di evitare il contatto dei lavoratori con polveri nocive).
- DPR 21 luglio 1960, n. 1169
ove all’art. 1 si prevede, specificamente, che la presenza dell’amianto nei materiali di lavorazione possa dar luogo, avuto riguardo alle condizioni delle lavorazioni, ad inalazione di polvere di silice libera o di amianto tale da determinare un rischio per la salute.
- DPR n. 1124 del 30 giugno 1965
cfr. art 153 e tabella allegata n. 8 (tabella delle lavorazioni per le quali è obbligatoria l’assicurazione contro la silicosi e l’asbestosi à lavori che comportano impiego ed applicazione di amianto e di materiali che lo contengono o che comunque espongono ad inalazione di polvere di amianto).
- DPR n. 146 del 05 maggio 1975
- relativo all’indennità di rischio per prestazioni di lavoro che comportano esposizione diretta e continua a polveri di amianto e loro composti o derivati (cfr. all. 1 Gruppo IV punto 4).
- Risoluzione del Consiglio delle Comunità Europee del 29 giugno 1978
(in GU n. C 165 dell’11. 7. 1978), sul programma d’azione delle Comunità europee in materia di sicurezza e di salute sul luogo di lavoro, che prevede l’istituzione di misure specifiche armonizzate per la protezione dei lavoratori contro l’amianto.
- Direttiva 80/1107/CEE
del Consiglio, del 27 novembre 1980, sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro.
- Direttiva 88/642/CEE
del 16 dicembre 1988 di modifica, ampliamento ed integrazione alla precedente direttiva.
- Dlgs. n. 277 del 15/08/1991
Attuazione delle direttive n. 80/1107/CEE, n. 82/605/CEE, n. 83/477/CEE, n. 86/188/CEE, n. 88/642/CEE in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro.
- Dlgs. n. 626 del 19 settembre 1994 e s.m.i.
- Successivamente con il Dlgs 81 del 9 aprile 2008 e s.m.i.
- Vale anche la pena di citare la delibera della Giunta Regionale della Regione Toscana n. 692 del 26 giugno 2001 avente ad oggetto: “linee di indirizzo su sorveglianza sanitaria dei lavoratori ex-esposti a cancerogeni occupazionali (ex esposti ad amianto).
La prima sentenza in materia di amianto risale ad oltre un secolo fa
Correva l’anno 1906.
Il Tribunale di Torino, nel proc. n. 1197/1906, non ha accolto la richiesta di Bender e Martiny e The British Asbestos Company Limited nei confronti dell’Avv. Carlo Pich e del gerente Arturo Mariani, redattori de “Il progresso del Canavese e delle Valli di Stura”, edito a Ciriè; secondo il giudicante negli articoli non c’era nulla di falso in quanto quella dell’amianto è “fra le industrie pericolose […] le particelle […] vengono a ledere le vie degli apparati respiratorii, […] fino al polmone, predisponendole allo sviluppo della tubercolosi, facilitandone la diffusione aumentandone la gravità”.
La decisione confermata in secondo grado con la Sentenza n. 334 del 28.05.1907 della Corte di Appello di Torino, riporta il fatto che “la lavorazione di qualsiasi materia che sprigioni delle polveri […] aspirate dall’operaio, sia dannosa alla salute, potendo produrre con facilità dei malanni, è cognizione pratica a tutti comune, come è cognizione facilmente apprezzabile da ogni persona dotata di elementare cultura, che l’aspirazione del pulviscolo di materie minerali silicee come quelle dell’amianto […] può essere maggiormente nociva, in quanto le microscopiche molecole volatilizzate siano aghiformi od almeno filiformi ma di certa durezza e così pungenti e meglio proclivi a produrre delle lesioni ed alterazioni sulle delicatissime membrane mucose dell’apparato respiratorio”.
Nel ventesimo secolo si sono vissute altre pronunce :
- la Cass. civile sezione lavoro n. 17092 del 08 ottobre 2012 Cass. 17092/2012
- la Cass. civile sezione lavoro n. 26590 del 17 dicembre 2014 Cass. 26590/2014
Le argomentazioni utilizzate nelle cause attuali che affondano le loro radici in rapporti di lavoro nella seconda metà del secolo scorso in particolare, sono diverse, ma una fra tutte denota la sua scompostezza.
In molte cause la parte datoriale (spesso anche pubblica) ha la tendenza a sminuire gli effetti dell’esposizione all’amianto ed a nascondersi dietro frasi del tipo:- Non sapevamo che l’amianto faceva male … .
Come si è invece illustrato la pericolosità della lavorazione dell’amianto è nota da tempo e l’esposizione alle sue fibre non può esentare il datore di lavoro da responsabilità anche in caso di rapporti risalenti nel tempo.
Sussiste pertanto, in caso di malattia del lavoratore, anche ogni presupposto per eventuale responsabilità civile e, talvolta anche penale, da parte del datore di lavoro o preposto.
Salva ogni decorrenza prescrizionale, il reato ipotizzabile può essere quello di lesioni colpose od omicidio colposo.
Sotto il profilo civile il risarcimento del danno per decesso può ragionevolmente oscillare a favore di una moglie e un figlio fra i 350.000,00 e gli 850.000,00 Euro.
Tuttavia in considerazione del fatto che gli stessi potrebbero agire sia a titolo personale quali familiari che hanno perso un congiunto (iure proprio), sia quali eredi del danneggiato (iure hereditatis). Il tutto con ogni complicazione che questa duplice e distinta posizione comporta.
In tal caso l’importo ottenibile può risultare maggiore di quanto considerato dalle sentenze sopra citate, ma il contesto processuale sarà certamente ben più articolato e complesso.
E’ comunque da considerare che la tendenza dei giudici è quella di fare riferimento alle note tabelle del Tribunale di Milano .

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