Il 13 maggio 2021 il Garante della Privacy ha emesso una ordinanza ingiunzione avente ad oggetto la mancata segnalazione, in un ambiente di lavoro, dell’avviso di riprese audiovisive.
La questione nasce dal rilievo del nucleo carabinieri Ispettorato del lavoro di Ferrara che trasmetteva un verbale di
accertamento compiuto in data 25 luglio 2019, presso la sede legale ed operativa di un datore di lavoro.
l’accusa di non avere segnalato l’impianto di videosorveglianza
Nel corso dell’accertamento, il predetto Nucleo dei Carabinieri aveva infatti constatato la presenza di un sistema di videosorveglianza composto da 6 telecamere posizionate in varie aree della zona vendita, attive e funzionanti,
ovvero idonee a identificare gli interessati.
A fronte del trattamento dei dati personali, realizzato per mezzo del suddetto impianto, veniva ipotizzata l’assenza di idonee informative, ai sensi dell’art. 13 del Regolamento.
L’Ufficio del Garante della Privacy, pertanto, sulla base degli accertamenti eseguiti, provvedeva a notificare al datore di lavoro l’atto di avvio del procedimento sanzionatorio, ai sensi dell’art. 166, comma 5, del Codice, in relazione alla violazione dell’art. 13 del Regolamento.
Le ragioni sostenute dal datore di lavoro
Il datore di lavoro prendeva posizione sostenendo e documentando, ai sensi dell’art.lo 18 della legge 689/90, il fatto che:
– nel mese di marzo 2019, con atto di affitto di ramo di azienda, aveva preso in gestione il
negozio oggetto del rilievo, dove era già presente l’impianto di videosorveglianza, installato
dai precedenti gestori del locale;
– l’impianto in questione non era stato quasi mai messo in funzione in quanto scarsamente
utile allo scopo di sorvegliare l’area vendita;
– quanto alla mancanza dell’informativa “trattandosi di un impianto già installato e
funzionante, si era ritenuto erroneamente che rispettasse tutti i requisiti di legge, trascurando
di rilevare la mancanza di cartelli di avviso a tutela dei dati personali”.
Occorre precisare che diversamente da quanto avviene normalmente dinanzi ad autorità ordinarie preposte all’emissione delle ordinanze di ingiunzione, chiunque, in un procedimento dinanzi al Garante,
dichiara o attesta falsamente notizie o circostanze o produce atti o documenti falsi ne risponde ai
sensi dell’art. 168 del Codice.
La decisione del Garante
Secondo il Garante non assume rilievo la circostanza che l’impianto in questione fosse stato installato
dai precedenti gestori del locale, posto che la titolarità del trattamento dei dati personali ricade in
capo al datore di lavoro che al momento gestisce il rapporto e che dunque, avrebbe dovuto assolvere a tutti gli obblighi e agli adempimenti richiesti dalla normativa di settore.
Sotto questo profilo, non è stata considerata l’esimente della buona fede, in quanto l’errore non è inevitabile né incolpevole.
In ultimo il Garante ha tenuto ad osservare che contrariamente a quanto rilevato dalla società, i rilievi fotografici effettuati durante l’accertamento ispettivo hanno consentito di verificare che le immagini riprese fossero ad ampio
raggio e dunque, idonee a riprendere e a identificare gli interessati.
Le conclusioni del Garante
Secondo il Garante quindi risulta evidente come, la società abbia effettuato un trattamento
di dati personali, per mezzo di un impianto di videosorveglianza, in assenza della prescritta
informativa.
Tale condotta è quindi stata ritenuta in contrasto con quanto stabilito dall’art. 13 del Regolamento, in
base al quale il titolare del trattamento era tenuto a fornire all’interessato tutte le informazioni relative
alle caratteristiche essenziali del trattamento.
La sanzione amministrativa è stata determinata in € 2.000,00 entro 30 giorni dalla notifica del presente provvedimento, pena l’adozione dei conseguenti atti esecutivi a norma dall’art. 27 della legge n. 689/1981.
E’ da tenere presente che ai sensi dell’art. 166, comma 8 del Codice, resta salva la facoltà per il
trasgressore di definire la controversia mediante il pagamento di un importo pari alla metà della sanzione irrogata entro il termine di cui all’art. 10, comma 3, del d. lgs. n. 150 del 1° settembre 2011 previsto per la proposizione
del ricorso davanti all’Autorità giudiziaria ordinaria.
Le ulteriori conseguenze
Nel caso in cui, la perseveranza del datore di lavoro e la durante nel tempo di comportamenti capaci di causare turbative psicologiche al lavoratore possano arrecare danno alla sua salute alla sanzione amministrativa potrebbe anche sommarsi l’iniziativa civile.
Infatti una certa gestione degli strumenti di controllo possono dar luogo ad iniziative risarcitorie in caso di insorgenza di patologie psicologiche al punto da giustificare una causa per straining o comunque preparare una causa per mobbing da parte del lavoratore.

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