Cosa cambia dopo la Sentenza 13/11/2014 n°254 Corte Costituzionale
Con la sentenza n. 254 del 13 novembre 2014 della Corte Costituzionale, si era statuita l’illegittimità della c.d. maxi sanzione da lavoro nero prevista dalla legge 248 del 2006 all’art. 36 bis “Misure urgenti per il contrasto del lavoro nero e per la promozione della sicurezza nei luoghi di lavoro” quantificata con una sanzione civile (che si andava ad accumulare in aggiunta alle altre voci sanzionatorie) nella misura minima di 3.000,00 euro.
Come spesso accade però, la teoria differisce, e molto, dalla pratica. Infatti a distanza di oltre due anni dalla predetta pronuncia, capita che l’abolita sanzione civile venga tutt’oggi addebitata al contribuente. Cosa fare in questi casi?
E’ prima prima di tutto necessario verificare la modalità con la quale l’ente procede alla pretesa.
Di fronte ad un mero “Invito a regolarizzare” il cittadino, non avendo termini perentori per impugnare il provvedimento, ha due possibilità. Tenere una linea morbida e cioè procedere ad una richiesta di desistenza mediante semplice istanza di ravvedimento in autotutela, ovvero procedere direttamente ad un ricorso giudiziale per accertamento negativo volto a far accertare l’illegittimità della pretesa stessa.
E’ questo il caso della sentenza n. 491/2016 del Tribunale di Lucca pubblicata il 20 dicembre 2016 emessa a definizione di un procedimento nel quale la stessa INAIL, costituendosi, rilevava l’illegittimità della pretesa e produceva atto di sgravio. Preme far rilevare che nonostante l’illegittimità della pretesa, il Giudice ha ritenuto di compensare le spese legali in carenza di un atto stragiudiziale precedente al ricorso.
E’ possibile inoltre che la fase di contestazione sia già in fase esecutiva mediante notifica di cartella esattoriale contenente la sanzione anzi detta. In tale caso è necessario attivarsi immediatamente per l’impugnare detto provvedimento in sede giudiziaria entro 20 giorni (nel caso vi siano eccezioni o contestazioni di forma – artt. 617 e ss. c.p.c. ed art. 29 D.Lgs. n. 46/99) ovvero 40 giorni (per contestare il merito della pretesa- art. 24 comma 5 D.Lvo 46 del 1999).
Un sistema spesso distratto ed approssimativo
E’ importante, quindi, acquisire la consapevolezza che non tutto ciò che è chiesto o preteso dagli enti previdenziali è dovuto. La verifica dell’effettività è fondamentale per non rendersi complici di un sistema spesso distratto ed approssimativo.
E’ opportuno inoltre segnalare che coloro i quali abbiano pagato la maxi sanzione di cui sopra possono, nei limiti della differenza tra il corrisposto e l’effettivamente dovuto in relazione alla specifica violazione, previa presentazione dell’istanza ed ottenere il rimborso (con specifica della quota eccedente il dovuto, mediante cassetto previdenziale “Rimborsi/Compensazioni”). La restituzione non sarà ammessa ove vi siano rapporti giuridici consolidati e definitivi.
Proprio questi ultimi rilievi fanno emergere, la palese sovversione del rapporto con le P.A. che, anche a fronte di comportamenti illegittimi, onera il cittadino di adempimenti burocratici che paiono tortuosi. Di fronte a pretese dichiarate incostituzionali, ci si aspetterebbe che sia l’istituto previdenziale che indebitamente ha percepito le somme, a recapitare a casa di ciascun contribuente un assegno circolare con gli importi erroneamente versati, senza necessità di alcuna preventiva domanda, istanza o richiesta.
Appare evidente lo squilibrio generato dal sistema quando da un lato decide di compensare le spese processuali (come nel caso della sentenza di cui sopra) e dall’altro impone oneri restitutori di quantificazione e di istanza al cittadino, già vessato dal pagamento di una sanzione dichiarata incostituzionale.
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