In un mondo che mira sempre più all’uguaglianza di genere, Bruxelles ha recentemente lanciato una direttiva destinata a cambiare il panorama del mercato del lavoro. Nonostante il principio della parità retributiva sia stato già sancito dal Trattato di Roma del 1957, la realtà attuale nell’Unione Europea racconta una storia diversa: le donne guadagnano in media il 13% in meno rispetto ai loro colleghi uomini. La nuova Direttiva UE 2023/970 per la parità di retribuzione fra uomini e donne ha l’obiettivo di cambiare questo stato di cose.
La direttiva UE 2023/970 cambierà le regole sulle tutele?
No, la direttiva è uno strumento che non cambierà le regole sostanziali, ma le renderà molto più attuabili. Benché non sia ancora in vigore, è importante riconoscere il suo significativo potenziale per il suo ruolo fondamentale sotto il profilo probatorio e nella promozione della parità di trattamento nei luoghi di lavoro.
Il fulcro di questa direttiva consiste nell’instaurare una maggiore trasparenza nelle retribuzioni all’interno delle aziende e istituzioni europee. Questa iniziativa risponde alla necessità di superare gli ostacoli che i lavoratori affrontano quando intendono avanzare reclami basati sulla presunta discriminazione retributiva.
Attualmente, per un lavoratore che sospetti di essere soggetto a discriminazione salariale, la raccolta di prove può risultare una sfida titanica. L’accesso alle informazioni sulle retribuzioni dei colleghi è spesso limitato dalla protezione della privacy, rendendo arduo raccogliere dati comparabili necessari per dimostrare il proprio caso. La direttiva proposta, una volta adottata, andrebbe a colmare questa lacuna fondamentale.
Sotto il profilo probatorio, la direttiva rappresenterebbe un cambiamento epocale. Con la trasparenza salariale resa obbligatoria, i lavoratori potrebbero facilmente ottenere dati sulla retribuzione dei colleghi in situazioni analoghe, eliminando la necessità di ricerche costose e invasive. Ciò, a sua volta, ridurrà il carico probatorio che grava sulle spalle di coloro che si ritengono discriminati e agevolerebbe il processo di accertamento delle violazioni della parità di trattamento salariale.
La direttiva europea sulla trasparenza delle retribuzioni rappresenta un passo cruciale verso la promozione dell’uguaglianza salariale e la riduzione delle discriminazioni nei luoghi di lavoro. Benché non sia ancora in vigore, la sua potenziale efficacia nel migliorare la situazione probatoria dei lavoratori e nell’agevolare la dimostrazione di pratiche discriminatorie non può essere sottovalutata
La direttiva potrebbe quindi rappresentare un importante strumento di tutela dei diritti dei lavoratori in Europa che bene si integra con una norma specifica già in vigore e che stenta a trovare una sua base di partenza proprio per le difficoltà probatorie comparative che ne costituiscono la base iniziale.
La normativa già in vigore in Italia.
Per quanto riguarda le norma già in vigore si può ben fare riferimento all’art.lo 28 del codice delle pari opportunità (D.lgs. 11 aprile 2006, n. 198) che già spiega che:
1. È vietata qualsiasi discriminazione, diretta e indiretta, concernente un qualunque aspetto o condizione delle retribuzioni, per quanto riguarda uno stesso lavoro o un lavoro al quale è attribuito un valore uguale.
2. I sistemi di classificazione professionale ai fini della determinazione delle retribuzioni debbono adottare criteri comuni per uomini e donne ed essere elaborati in modo da eliminare le discriminazioni.
Direttiva UE 2023/970: punti salienti
D’ora in poi, i datori di lavoro – sia del settore pubblico che privato – saranno obbligati a implementare sistemi retributivi che prevedano la parità di stipendio per uno stesso lavoro, indipendentemente dal genere del lavoratore. Inoltre, è previsto un diritto di informazione che permette ai lavoratori di conoscere gli stipendi dei colleghi che svolgono le stesse mansioni, attraverso rappresentanti o organismi di parità di genere. In altre parole, viene introdotto il divieto del segreto salariale e si apre la strada a una maggiore trasparenza.
In merito alla parità retributiva, all’art. 4 (Stesso lavoro e lavoro di pari valore), punti 1 e 2, la Direttiva UE 2023/970 richiede specificatamente l’implementazione di misure che obblighino i datori di lavoro a instaurare schemi di remunerazione capaci di stabilire un’eguaglianza salariale per lavori identici o di valore comparabile.
Si legge infatti:
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Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che i datori di lavoro dispongano di sistemi retributivi che assicurino la parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.
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Gli Stati membri, in consultazione con gli organismi per la parità, adottano le misure necessarie per assicurare la disponibilità di strumenti o metodologie di analisi e per far sì che a tali strumenti o metodologie si possa accedere facilmente allo scopo di sostenere e guidare la valutazione e il confronto del valore del lavoro conformemente ai criteri di cui al presente articolo. Tali strumenti o metodologie consentono ai datori di lavoro e/o alle parti sociali di istituire e utilizzare facilmente sistemi di valutazione e classificazione professionale neutri sotto il profilo del genere che escludano qualsiasi discriminazione retributiva fondata sul sesso.
Per quanto riguarda la mancanza di trasparenza – spesso le lavoratrici non sono neanche a conoscenza del divario retributivo che le separa dai loro colleghi maschi – la Direttiva impone non solo che i datori di lavoro debbano rendere “facilmente accessibili ai propri lavoratori i criteri utilizzati per determinare la retribuzione, i livelli retributivi e la progressione economica dei lavoratori. Tali criteri sono oggettivi e neutri sotto il profilo del genere” (art.6, punto 1) ma – si riporta testualmente dall’art. 7 dedicato al diritto di informazione:
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I lavoratori hanno il diritto di richiedere e ricevere per iscritto, conformemente ai paragrafi 2 e 4, informazioni sul loro livello retributivo individuale e sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore.
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I lavoratori hanno la possibilità di richiedere e ricevere le informazioni di cui al paragrafo 1 tramite i loro rappresentanti dei lavoratori, conformemente al diritto e/o alle prassi nazionali. Hanno inoltre la possibilità di richiedere e ricevere le informazioni tramite un organismo per la parità. Se le informazioni ricevute sono imprecise o incomplete, i lavoratori hanno il diritto di richiedere, personalmente o tramite i loro rappresentanti dei lavoratori, chiarimenti e dettagli ulteriori e ragionevoli riguardo ai dati forniti e di ricevere una risposta motivata.
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I datori di lavoro informano annualmente tutti i lavoratori del loro diritto di ricevere le informazioni di cui al paragrafo 1 e delle attività che il lavoratore deve intraprendere per esercitare tale diritto.
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I datori di lavoro forniscono le informazioni di cui al paragrafo 1 entro un termine ragionevole, ma in ogni caso entro due mesi dalla data in cui è presentata la richiesta.
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Ai lavoratori non può essere impedito di rendere nota la propria retribuzione ai fini dell’attuazione del principio della parità di retribuzione.
Implementazione in Italia
Per quanto riguarda il nostro Paese, l’Italia avrà fino al 7 giugno 2026 per recepire e convertire in legge questa direttiva. Questo è un tempo significativo per discutere e pianificare l’attuazione pratica di queste misure, ma è anche un’esortazione ad agire con tempestività.
Certo non mancheranno le sfide né tanto meno le critiche: c’è chi sostiene che la Direttiva UE 2023/970 potrebbe causare tensioni nei luoghi di lavoro e c’è chi mette in discussione la fattibilità di un controllo così stringente sulle pratiche retributive delle aziende. Staremo a vedere.
Di sicuro, almeno sulla carta, offre uno strumento concreto per combattere il divario retributivo e promuove una cultura di trasparenza facilitando ogni onere probatorio che, in caso di azione giudiziale, è un presupposto ineludibile.
In ogni caso, anche se la direttiva non venisse recepita, chiunque vi abbia interesse potrà invocarne l’applicazione a partire dalla data del 7 giugno 2026.
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