Annullamento dei contributi di un familiare e addebito contributi di altra natura


Sono sempre più frequenti i verbali redatti da parte di funzionari dell’INPS che disconoscono rapporti di lavoro con familiari e che contestualmente addebitano importi, talvolta esorbitanti, non tanto per le differenze contributive rilevate, quanto per la conseguente revoca delle agevolazioni contributive di cui l’azienda si è avvalsa.

La prassi dell’INPS

Di particolare interesse è la prassi che tende, in caso di pretese restitutorie, a confermare l’annullamento dei contributi del familiare attraverso l’invito, spesso informale, ad attivarsi con una istanza di compensazione.

L’istanza di compensazione porta con sé l’accettazione delle conclusioni dell’INPS e l’esposizione ad una azione risarcitoria che il lavoratore potrebbe (seppure poco probabile trattandosi di familiari o conviventi) intraprendere contro chi ha vanificato gli obblighi assicurativi. La procedura di cancellazione infatti pur investendo gli interessi primari della persona di fatto la esclude dal diritto di difendere un interesse primario quale è quello della qualificazione del rapporto e della relativa contabilizzazione contributiva.

La compensazione sempre caldeggiata dall’INPS ha una apparente convenienza, ma se si effettua una più approfondita riflessione cominciano a comparire alcune falle.

All’improvviso impoverimento contributivo a danno del familiare o convivente non corrisponde il cambio 1 a 1 perché la somma conteggiata in restituzione viene calcolata al valore nominale, quella pretesa invece viene considerata evasione contributiva e quindi addizionata con sanzioni civili al 60% oltre interessi.

Per l’INPS una diversa qualificazione è sempre una evasione contributiva.

Annullamento dei contributi: uno dei tanti casi finiti sulle scrivanie dello studio legale

Dopo anni di attività individuale con lui rappresentante di commercio e lei coadiutore, viene decisa, in vista di cessare nel giro di qualche tempo quella posizione fiscale, la costituzione di una nuova srl dove entrambi i coniugi sono anche i soci.

La ditta individuale continua a pagare i contributi IVS commercianti per il coniuge collaboratore e poi tale contribuzione continua ad essere versata anche dalla s.r.l.

La società, pur costituita tra familiari, tuttavia decide di rendere più regolare possibile quella posizione e quindi oltre a continuare a pagare i contributi IVS commercianti anche quelli come dipendente impiegata.

Arriva l’INPS e annulla tutti i contributi versati come IVS commercianti in quanto ritiene che essendo socia di srl gli stessi dovevano essere versati non come coadiutore, ma come titolare essendo un socio di srl che presta attività lavorativa. Questo avviene con lo stupore degli operatori che assistevano la società in quanto il contributo IVS commercianti è il medesimo sia che si tratti di titolare che di collaboratore.

Non solo, ritenendo inesistente ogni vincolo di subordinazione, anche tutti i contributi versati negli ultimi 5 anni dalla società sono annullati e quindi la signora fino a quando non paga il contributo IVS commercianti (già nelle casse dell’INPS a titolo di collaboratore di impresa commerciale) considerandosi titolare non riesce a riempire nuovamente il vuoto contributivo e non potrà andare in pensione con quei contributi.

Le conseguenze dell’annullamento dei contributi per la qualificazione di un rapporto diverso

Mentre in contributi dei lavoratori dipendenti godono di una stabilizzazione di tipo temporale e possono essere annullati solo per gli ultimi 5 anni quelli autonomi es. IVS commercianti possono essere annullati in ogni tempo e quindi anche in data anteriore senza limite alcuno.

La conseguenza è che i buchi che si formano se non convertiti non potranno mai essere riempiti con nuove qualificazioni con un danno irreversibile alla persona.

Torniamo al caso concreto, l’INPS interviene, annulla il rapporto di lavoro e, normalmente, non restituisce i contributi.

Annulla anche tutti i contributi commercianti versati fin dalla costituzione della srl ed anche quelli non li restituisce.

Di fatto la parte contribuente ha pagato il doppio e si ritrova non con una copertura contributiva, ma con un debito avente la stessa natura (IVS commercianti per esempio) che l’INPS pretende in misura maggiorata.

Le ragioni dell’INPS sono formulate assumendo che un conto è versare il contributo IVS come titolare in modo personale e diretto un altro è il versamento che per otto anni ha fatto  la società  (la società è onerata quando trattasi di un collaboratore).

Risultato: – La persona che negli ultimi 8 anni ha ricevuto copertura assicurativa per es. 150.000 Euro risulteranno cancellati per esempio 8 anni di contributi come collaboratore e e 5 come dipendente.

La stessa si troverà con un buco di contributi di tre anni non più rimediabile perché la nuova qualificazione non consente di retroagire oltre i 5 anni essendo la prescrizione contributiva un istituto che esclude la discrezionalità dell’INPS.

A fronte degli ipotetici 150.000 euro che l’INPS trattiene nelle casse vuole, per la copertura di soli 5 anni come IVS commercianti titolari ancora es. 90.000 euro oltre sanzioni civili al 60% ed interessi ovvero gli stessi 150.000 euro.

Questo significa cancellare due posizioni attive ed otto anni di contributi senza restituire 150.000 euro e riconoscere, previo pagamento degli stessi 150.000 euro in gran parte sanzioni solo 5 degli otto anni correttamente nel tempo versati per due posizioni.

Quindi dopo avere pagato per 8 anni il doppio dei contributi il malcapitato deve riversare di nuovo quasi il doppio degli importi per ritrovarsi con una sola contribuzione a favore. Pagato 4 per ricevere 1. Questo è!

Qualcuno potrà anche pensare che questa sia solo teoria, ma non è così. Di questo argomento più in generale si è parlato nel video-corso pubblicato da Fiscal Focus e la questione della contribuzione degli amministratori e dei familiari è ancora molto calda.

Al di là del caso scuola è molto frequente il caso di annullamento del rapporto di lavoro di familiari dell’imprenditore non seguito dalla restituzione dei contributi ed il relativo recupero non è facile da ottenere se non con il compromesso sopra descritto della compensazione e tutte le conseguenze che ne derivano.

Il diritto ad una pronuncia sulla corretta contribuzione e in caso di rigetto il diritto alla restituzione

Fermo restando che è sempre importante verificare se sia meritevole chiedere al giudice la conferma della regolarità della contribuzione versata, nel caso di rigetto chi ha versato i contributi ha sempre il diritto di ottenerne la restituzione che in alcuni casi dovrebbe addirittura, per legge, essere disposta d’ufficio e non su istanza.

Chi è stato leso nei suoi diritti  ed intende farli valere può rivolgersi a questo studio per una valutazione e confronto operativo.

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