Compensazione di Crediti di imposta, reati e conseguenze


L’utilizzo sempre più massiccio del sistema dei crediti di imposta sta creando una certa diffidenza nell’intero contesto economico al punto da richiedere un approfondimento sulle conseguenze che possono derivare da un utilizzo errato di questo tipo di strumenti.

Lasciando da parte gli aspetti più legati alle questioni strettamente tributarie (la cui competenza è specifica di altro tipo di professionista – commercialisti in particolare), occorre domandarsi che cosa accade, invece, sotto il profilo penale. Un profilo che comporta anche riflessi in ambito mediatico e di pubblicazione delle sentenze.

Procedimenti penali legati alle compensazioni dei crediti di imposta

Sempre più frequentemente si sente parlare di perquisizioni, sequestri di beni e di conti correnti e procedimenti penali a carico di titolari di aziende che si sono avvalsi dei crediti di imposta per pagare, con F24, IVA, imposte ed anche contributi.

La questione nasce soprattutto dal fatto che i crediti di imposta costituiscono un fenomeno che normalmente prende forma da autocertificazioni che un’impresa fa sulla base di specifiche normative.

In altre parole lo stato, perennemente carente di efficienza, liquidità e celerità nei pagamenti, consente al privato di stampare “moneta autocertificata”.

E’ evidente che se alla base di questa “concessione” viene riposta una sorta di fiducia nel contribuente, sul fronte dei controlli sono state previste procedure e sanzioni tutt’altro che lievi.

Da anni ormai è stato introdotto nel settore specifico lo strumento del c.d. sequestro preventivo per equivalente di cui abbiamo già trattato.

Nel nostro percorso avevamo già trattato anche la compensazione del credito di imposta nascente dal procedimento fallimentare e della compensazione del debito INPS con il credito di imposta.

Che cosa è la compensazione dei crediti di imposta

La norma di riferimento primario è l’art.lo 17 del decreto legislativo 241 del 9 luglio 1997 il quale stabilisce che o contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto.

Tale compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva.

La compensazione del credito annuale o relativo a periodi inferiori all’anno dell’imposta sul valore aggiunto, dei crediti relativi alle imposte sui redditi e alle relative addizionali, alle imposte sostitutive delle imposte sui redditi e all’imposta regionale sulle attività produttive, per importi superiori a 5.000 euro annui, può essere effettuata a partire dal decimo giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione o dell’istanza da cui il credito emerge.

Il versamento unitario e la compensazione sono ammessi per i debiti relativi:

alle imposte sui redditi, alle relative addizionali e alle ritenute alla fonte riscosse mediante versamento diretto ai sensi dell’art. 3, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (per le ritenute di cui al secondo comma del citato art. 3 resta ferma la facoltà di eseguire il versamento presso la competente sezione di tesoreria provinciale dello Stato; in tal caso non è ammessa la compensazione);

all’imposta sul valore aggiunto dovuta ai sensi degli articoli 27 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e quella dovuta dai soggetti di cui all’art. 74;

alle imposte sostitutive delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto;

all’imposta prevista dall’art. 3, comma 143, lettera a ), della legge 23 dicembre 1996, n. 662;

ai contributi previdenziali dovuti da titolari di posizione assicurativa in una delle gestioni amministrate da enti previdenziali, comprese le quote associative;

ai contributi previdenziali ed assistenziali dovuti dai datori di lavoro e dai committenti di prestazioni di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 49, comma 2, lettera a ), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917;

ai premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dovuti ai sensi del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124;

agli interessi previsti in caso di pagamento rateale ai sensi dell’art. 20.

al saldo per il 1997 dell’imposta sul patrimonio netto delle imprese, istituita con decreto-legge 30 settembre 1992, n. 394, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 novembre 1992, n. 461, e del contributo al Servizio sanitario nazionale di cui all’art. 31 della legge 28 febbraio 1986, n. 41, come da ultimo modificato dall’art. 4 del decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85 (6) .

alle altre entrate individuate con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, e con i Ministri competenti per settore.

al credito d’imposta spettante agli esercenti sale cinematografiche.

alle somme che i soggetti tenuti alla riscossione dell’incremento all’addizionale comunale debbono riversare all’INPS, ai sensi dell’articolo 6-quater del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, e successive modificazioni.

alle tasse sulle concessioni governative;

alle tasse scolastiche.

L’indebita compensazione

L’indebita compensazione è definita dall’articolo 10 quater del decreto legislativo n. 74/2000 che ne prevede due specifiche e distinte figure giuridiche per entrambe delle quali è comunque stabilita la soglia per un importo annuo superiore ad € 50.000,00 .

– Compensazione mediante utilizzo di crediti non spettanti

L’utilizzo di crediti non spettanti è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e si applica a chiunque commetta il fatto.

– Compensazione mediante utilizzo di crediti inesistenti

chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione crediti inesistenti è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni

La condanna comporta “pene accessorie” che riguardano:

  1. a)  l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a tre anni;
  2. b)  l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni;
  3. c)  l’interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a cinque anni;
  4. d)  l’interdizione perpetua dall’ufficio di componente di commissione tributaria;
  5. e)  la pubblicazione della sentenza a norma dell’articolo 36 del codice penale.

La confisca

Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta tuttavia non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro.

Soltanto nel caso di “patteggiamento”, a norma dell’art.lo 12 bis del D.L.vo 74/2000 è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.

Causa di non punibilità mediante pagamento del debito tributario

Soltanto il reato relativo a crediti non spettanti gode della possibilità di sanare mediante pagamento a posteriori del relativo debito.

Infatti il relativo reato non è punibile se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso.

Qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione è concesso un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo. In tal caso la prescrizione è sospesa.

Il Giudice ha facoltà di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario, ferma restando la sospensione della prescrizione.

Cause di attenuazione od aumento delle pene sulla base delle circostanze del reato

le pene sono diminuite fino alla metà e non si applicano le “pene accessorie” sopra riportate se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie.

Le pene stabilite sono aumentate della metà se il reato è commesso dal concorrente nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale.

Altre possibilità di attenuazione sono previste in caso di patteggiamento.

Riparazione del debito nonostante l’estinzione per intervenuta prescrizione del debito tributario

Se i debiti risultano estinti per prescrizione o per decadenza, l’imputato può chiedere di essere ammesso a pagare, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, una somma, da lui indicata, a titolo di equa riparazione dell’offesa recata all’interesse pubblico tutelato dalla norma violata.

La somma, commisurata alla gravità dell’offesa, non può essere comunque inferiore a quella risultante dal ragguaglio a norma dell’articolo 135 del codice penale della pena minima prevista per il delitto contestato.

Il giudice sente il pubblico ministero e, se ritiene congrua la somma, fissa con ordinanza un termine non superiore a dieci giorni per il pagamento.

Se il pagamento è eseguito nel termine, la pena è diminuita fino alla metà e non si applicano le pene accessorie sopra indicate.

Nel caso di assoluzione o di proscioglimento la somma pagata è restituita.

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