l’INPS, con la circolare n. 113/2021 fornisce le nuove indicazioni amministrative riguardo alla classificazione dei datori di lavoro ai fini previdenziali, in applicazione dell’orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione.
Negli ultimi tempi non sono mancati arretramenti di posizione da parte dell’INPS che nel corso degli anni si era gettata a corpo morto su intransigenze che con il tempo hanno dovuto cedere il passo alla ragionevolezza. Purtroppo coloro che nel corso del tempo hanno accettato il compromesso o rinunciato a difendersi non hanno ora, a cose fatte, più argomenti per chiedere il rimborso di quanto non avrebbero dovuto pagare.
La posizione sulla classificazione INPS riguardo all’inquadramento datoriale fino al 2021
L’articolo 3, comma 8, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è intervenuto in materia di decorrenza degli effetti dei provvedimenti di variazione della classificazione dei datori di lavoro ai fini previdenziali, stabilendo che: “I provvedimenti adottati d’ufficio dall’INPS di
variazione della classificazione dei datori di lavoro ai fini previdenziali, con il conseguente trasferimento nel settore economico corrispondente alla effettiva attività svolta producono effetti dal periodo di paga in corso alla data di notifica del provvedimento di variazione, con esclusione dei casi in cui l’inquadramento iniziale sia stato determinato da inesatte dichiarazioni del datore di lavoro.
In caso di variazione disposta a seguito di richiesta dell’azienda, gli effetti del provvedimento decorrono dal
periodo di paga in corso alla data della richiesta stessa. Le variazioni di inquadramento adottate con provvedimenti aventi efficacia generale riguardanti intere categorie di datori di lavoro producono effetti, nel rispetto del principio della non retroattività, dalla
data fissata dall’INPS. Le disposizioni di cui al primo e secondo periodo del presente comma si applicano anche ai rapporti per i quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, pendano controversie non definite con sentenza passata in giudicato”.
Il precedente orientamento restrittivo dell’INPS
Nessun operatore del settore giuslavoristico si è meravigliato quando l’Istituto, con la circolare n. 263 del 19 ottobre 1995, ha fornito indicazioni in attuazione della suddetta norma.
Nessuna meraviglia quando l’Istituto, ha fornito ai propri uffici specifiche – in tema di retroattività – nel senso che:
“Il provvedimento di variazione produrrà, al contrario, i suoi effetti sin dalla data dell’inquadramento iniziale nell’ipotesi in cui tale inquadramento sia stato determinato da inesatte dichiarazioni del datore di lavoro: tali sono le notizie, relative all’effettiva attività svolta, fornite dal datore di lavoro all’atto della domanda di iscrizione e sulla cui
base l’Istituto emana il provvedimento di classificazione”.
Nessuno si è meravigliato perché l’INPS è solito assumere posizioni veramente difficili da capire
A seguito delle varie iniziative dell’istituto la suddetta disposizione legislativa è stata oggetto di un’accesso dibattito che si è tenuto fin dal 1996/1997 dentro le aule di Giustizia che ha portato ad un’ennesima evoluzione interpretativa soprattutto con riferimento all’omessa comunicazione di variazioni relative all’attività imprenditoriale svolta.
Il nuovo orientamento espresso dalla Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione si è recentemente espressa con varie sentenze. Si segnalano in particolare la sentenza n.
14257/2019 (Camera di Consiglio del 21 marzo 2019), depositata in Cancelleria in data
24 maggio 2019 e, da ultimo, con la sentenza n. 5541/2021 (Camera di Consiglio del
20 ottobre 2020), depositata in Cancelleria in data 1° marzo 2021, nella quale, tra
l’altro, si afferma che “non si ritiene esistente un contrasto attuale che imponga di
rimettere la questione alle Sezioni Unite”, richiamando i seguenti principi:
• l’articolo 3, comma 8, della legge n. 335/1995 stabilisce che i provvedimenti di
variazione della classificazione dei datori di lavoro producono effetti dal periodo di paga
in corso alla data di notifica del provvedimento o della richiesta dell’interessato;
• la retroattività degli effetti della variazione si determina ogni volta che vi sia stato nel
momento iniziale dell’attività un comportamento del datore positivo e volontario tale da
determinare un inquadramento errato, qual è l’inoltro di dichiarazioni inesatte;
• la condotta omissiva intervenuta nel corso dell’attività del datore di lavoro trova una
specifica sanzione nell’articolo 2, primo comma, del decreto-legge 6 luglio 1978, n. 352,
convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1978, n. 467, che prevede l’obbligo
dell’impresa di comunicare agli enti previdenziali le variazioni relative all’attività
imprenditoriale svolta, il cui inadempimento non comporta alcuna conseguenza sotto il
profilo della decorrenza della variazione di inquadramento.
Secondo la Corte, tale soluzione interpretativa “deve essere preferita, in quanto
coerente con la natura eccettiva della deroga all’operatività della classificazione ex nunc,
deroga prevista testualmente per il solo caso delle inesattezze nella dichiarazione
iniziale e che, dunque, non può essere applicata al di fuori delle ipotesi ivi
tassativamente indicate e tipizzate, stante il divieto anche di interpretazione analogica
ed estensiv
a, posto con riferimento alla legge speciale dall’art. 14 preleggi”.
La marcia indietro dell’istituto: – classificazione INPS non più retroattiva
Afferma ora l’INPS che a seguito del mutato orientamento giurisprudenziale, la variazione di classificazione dei
datori di lavoro, con il conseguente trasferimento nel settore economico corrispondente
all’effettiva attività svolta, potrà avvenire con effetto retroattivo soltanto in caso di inesatte dichiarazioni del datore di lavoro rese al momento dell’iniziale inquadramento ai
sensi dell’articolo 3, comma 8, della legge n. 335/1995.
Pertanto, ai fini della variazione di classificazione dei datori di lavoro, i provvedimenti
dell’Istituto successivi alla data del 24 maggio 2019, in ragione del consolidarsi del
nuovo orientamento giurisprudenziale, dovranno basarsi sul presupposto che l’omessa comunicazione del datore di lavoro circa i mutamenti dell’attività svolta non potrà essere più equiparata all’inesatta dichiarazione (per cui non potrà più rilevare ai fini
dell’adozione di un provvedimento di variazione di classificazione con efficacia retroattiva).
La retroattività varrebbe quindi solo in caso di inesatte dichiarazioni del datore di lavoro
La retroattività degli effetti della variazione di classificazione, di cui al comma 8
dell’articolo 3 della legge n. 335/1995, verrà ad esistenza soltanto in caso di inesatte dichiarazioni del datore di lavoro rese, come sopra riportato, esclusivamente in fase di iniziale inquadramento.
Relativamente al contenzioso in essere nella materia in argomento si provvederà, con
successivo messaggio, a fornire indicazioni operative alle Strutture territoriali.
I nostri suggerimenti
Chi ha in corso contenziosi o confronti con l’INPS su queste tematiche dovrà curare con la dovuta attenzione e sempre in sintonia con il professionista del lavoro (Consulente del Lavoro o Commercialista) tutti i passaggi che l’Istituto porrà in essere badando soprattutto a non cadere nella trappola dell’urgenza DURC ed in quella collegata dell’istanza di dilazione risolutoria.
Come già suggerito in precedenti articoli queste soluzioni consentono all’istituto – giusto per usare frasi calcistiche – di ottenere in calcio d’angolo quello che non hanno apparentemente definito con un finto rientro.
Quindi in caso di necessità non esitate a contattarci anche solo per un rapido confronto.

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