Decidere di fare una causa di lavoro a volte appare semplice perché tutti ritengono di avere “ragione” al 100%. Una prima valutazione deve essere sempre rivolta alle scadenze di ciò che è stato notificato ed ai termini per attivarsi con o senza un giudizio.
Negli atti ricevuti ci sono termini di legge trascorsi i quali tutto diventa definitivo e non ci si può più attivare?
Se i termini sono larghi e si può procedere con soluzioni alternative alla causa è bene vagliare ogni possibilità, ma quando i termini non lasciano spazio al dialogo la risposta dipende dalle ragioni che obiettivamente possiamo far valere in un giudizio.
Occorre considerare inoltre che, eccetto il caso di avere ragione al 100% (circostanza di cui è sempre bene dubitare), si deve essere pronti a resistere anche a qualche sconfitta. Tantissime sono le cause che si perdono in primo grado e poi si vincono in appello o, addirittura in cassazione.
Occorre pensare ad una causa come un andare in guerra, la guerra è fatta di tante battaglie, l’importante è vincere lo scontro finale. Non tutti sono preparati a questo e molti, appena ricevono la sentenza di primo grado, dichiarano di volere abbandonare senza neppure discutere sulle possibilità di difesa del proprio operato.
Abbandonare significa poter dare la colpa a qualcuno e questo per molti è sufficiente. In realtà spesso ci si trova ad affrontare, soprattutto in ambito previdenziale e del lavoro (si pensi alle cause contro gli enti di vigilanza INPS ed INAIL), tematiche nuove dovute ad un susseguirsi di norme e di prassi (circolari ecc…) non rispettose dei diritti del contribuente o del lavoratore.
Questo significa che non sempre il giudice è pronto a recepire nuovi scenari giuridici preferendo affidarsi alle abitudini piuttosto che analizzare per esempio una nuova eccezione di incostituzionalità.
Il continuo susseguirsi di norme rende il mare giuridico del lavoro e della previdenza un movimento di concetti che richiedono reattività non sempre immediatamente riscontrabili nella comunità scientifica.
Occorre inoltre considerare che spesso è la giurisprudenza a riempire vuoti normativi attingendo dai principi fondamentali e che solo più tardi il legislatore interviene.
Tutto questo crea una stratificazione di precedenti a volte difficile da comprendere e da giustificare per il pensiero comune.
L’aspetto fondamentale da considerare (per chi si accinge ad intraprendere un contenzioso del lavoro) è che se non ci sono sufficienti elementi, se manca il coraggio e non si è disposti a giocare la partita fino in fondo creando una stabile fiducia e sintonia con il difensore, forse è meglio abbandonare subito il gioco e pagare.
Insomma chi non è disposto a rischiare è bene che lasci perdere fin da subito senza attendere una seppure iniziale sconfitta che può sempre essere possibile.
Perdere uno o più gradi di giudizio è sempre una eventualità che si deve essere disposti a rischiare; è la statistica che ci supporta nella fiducia ai gradi superiori del giudizio dato che sono tantissime le cause ribaltate nei gradi successivi a quello introduttivo.
Le condanne alle spese legali sono un altro deterrente di cui occorre tenere in debito conto.
Se perdi un grado di giudizio devi pagare non solo il tuo avvocato, ma se vi è condanna specifica, anche quello dell’avversario.
Causa di lavoro: tutti pensano di avere ragione!
Raramente si presenta qualcuno in studio ammettendo di avere commesso una irregolarità.
Quando questo accade il rapporto con l’avvocato parte bene perché le aspettative non inquinano i rapporti. Abbiamo tutti la consapevolezza che la partita sarà dura, ma auspichiamo che ce la faremo.
La maggior parte delle persone “sanno” di avere ragione. Lo sanno già loro; questo è il punto.
Lo sanno e portano con loro un bagaglio di informazioni attinte da amici o da siti internet che effettivamente possono anche essere di aiuto;
ma queste persone devono tenere conto di altri fattori.
- Mediamente solo il 50% di coloro che si rivolgono al giudice ottengono ragione.
- Per vincere una causa di lavoro non serve avere ragione, ma occorre dimostrarla al giudice.
- Per vincere una causa di lavoro non serve avere uno schieramento di amici che si dichiarano disposti ad aiutare chi vuole intraprendere un percorso giudiziale, ma occorre che siano effettivamente a conoscenza diretta dei fatti di causa.
- Per vincere una causa non serve affermare che tutti lo sanno; occorre avere l’elenco specifico di coloro che, presenti ai fatti, hanno concretamente visto e sentito circostanze “rilevanti”.
- L’elenco dei testimoni deve essere comunicato al giudice per chiederne l’ammissione immediatamente nel primo atto che introduce la parte nel giudizio e quindi nel ricorso se chi agisce è attore (ricorrente) o nella comparsa di risposta se chi agisce è convenuto (resistente) ed ha depositato il tutto nei termini processuali di legge. Una volta redatto e depositato l’atto in giudice, tranne casi veramente eccezionali, non consentirà più che venga sentito chi non era stato elencato nella lista dei testimoni.
- Con il primo atto processuale ciascuna parte deve anche depositare TUTTI I DOCUMENTI che intende spendere nel giudizio relativo alla sua causa di lavoro. Nessun altro documento, salvo rarissime eccezioni particolari, sarà più ammesso durante il percorso processuale.
- Con il primo atto processuale nelle cause di lavoro ciascuna parte deve formulare le istanze istruttorie di tipo documentale chiedendo al giudice, per esempio un ordine di esibizione diretto alla controparte per esibire specifici documenti.
- In molte cause di lavoro la decisione di fonda o prende forza sulla base di questioni processuali che prescindono dal merito.
La verità processuale nelle cause di lavoro
Una volta chiusa la fase introduttiva del processo ed esaminate le domande pregiudiziali, preliminari e cautelari (se ve ne sono) il giudice inviterà le parti a discutere sui mezzi istruttori proposti.
Si tratta quindi di una attività di esame delle istanze che le parti devono avere già preparato nei singoli atti introduttivi.
Quando entrano in gioco i documenti e i testimoni nelle cause di lavoro
E’ a questo punto che molti ricorrenti o resistenti cominciano ad insidiare l’avvocato con suggerimenti dei tipo: potremmo sentire il testimone tizio o caio oppure ecco un documento che deve assolutamente essere prodotto al giudice.
E’ a questo punto che l’avvertimento iniziale sulle preclusioni della procedura del lavoro diventa carta straccia mnemonica; quasi nessuno ricorda più gli avvertimenti dell’avvocato sulle decadenze preclusive e quasi tutti cominciano ad assediare l’avvocato con nuovi “jolly” nella manica che, eccetto qualche rara eccezione, non sono più spendibili. Lo diventano solo se si tratta di fatti o documenti nuovi, ma non se la relativa istanza istruttoria poteva essere fatta con l’attivazione o primo intervento nel processo.
Di come si prepara una causa di lavoro ci eravamo già occupati a suo tempo parlando della posizione del lavoratore, ma ogni problematica è la stessa medaglia con una doppia facciata.
Avere torto o ragione a questo punto è solo una questione di gestione delle fasi processuali e di capacità di tirare fuori dalla sua evoluzione quella verità che consente un percorso giuridico sufficiente a fondare la domanda. Paradossalmente anche nel torto apparente si possono trovare profili di ragione sia per questioni processuali che per aspetti legati al c.d. onere della prova.
È l’articolo 2697 del codice civile che impone a chi vuol far valere un diritto l’onere di provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Chi afferma che i fatti dedotti dalla controparte sono veri, ma non efficaci o che un diritto si è modificato o estinto deve invece provare i fatti su cui si fonda la sua eccezione.
Se l’onere della prova è della controparte occorre sempre valutare di negare i fatti dedotti dalla stessa tenendo presente, tuttavia, che spesso comunque il gioco si fa duro con le testimonianze.
Quanto ai testimoni occorre che ne vengano indicati sempre tanti in quanto non si può far dipendere una causa dalla versione di una sola persona. Una sola persona è facilmente corruttibile, venti persone no.
Causa di lavoro: qualche nostro consiglio e riflessione
Detto tutto quanto sopra però una domanda ce la dobbiamo sempre porre ed è questa:
- siamo sicuri che l’unica soluzione sia sempre e solo una causa?
L’esperienza insegna che quando ci si rivolge al giudice del lavoro (ma ad un tribunale in genere) abbiamo già subito la prima sconfitta; l’importante non è vincere una causa, ma capire quale sia il vero problema e provare a risolverlo con tutti gli strumenti che il dialogo, le procedure amministrative ed sistema giuridico ci mettono a disposizione consentendoci di progettare insieme la più efficace strategia che il caso concreto ci offre.
Una causa spesso rovina definitivamente i rapporti tra le parti ed è quindi importante sfruttare al meglio l’esperienza del professionista che assiste la parte avendo sempre cura, tuttavia, di non farsi trascinare da inutili trattative, fuori dai termini di legge per procedere giudizialmente.
Una ultima riflessione è richiesta per verificare se la questione da portare all’attenzione di un professionista contiene date di decadenza.
Ci sono atti non definitivi per i quali si può fare un ricorso amministrativo all’esito del quale sarà adottato un provvedimento ricorribile davanti al giudice e ci sono atti che se non opposti subito provocano gli effetti irreversibili paragonabili a quelli di una sentenza.
Se un atto che è stato notificato contiene date di decadenza o preclusione una seconda valutazione va fatta sulle attitudini del professionista; se si ritiene di avere ragione assoluta e ci sono termini decadenziali non modificabili (es. notifiche di ordinanza ingiunzione, avviso di addebito inps, cartella esattoriale inail, decreto ingiuntivo ecc…) è opportuno individuare subito un avvocato e quindi investirlo senza ritardo per una prima valutazione delle ragioni poste a fondamento della problematica mettendolo subito in contatto con altri professionisti specialisti di materie correlate ed essenziali per le questioni da analizzare. Sarà poi l’avvocato interessato dal cliente a suggerire o coinvolgere, ove occorra, un collega specializzato.
E’ comunque da tenere presente che quando si ha ragione e i termini sono ristretti (es. 30 giorni come accade nel caso di ordinanza ingiunzione dell’inps) non ci si può presentare dall’avvocato l’ultimo giorno utile per l’azione giudiziale dopo avere consumato i precedenti 28 giorni affidando il documento ed ogni altra valutazione a chi si occupa di altro; purtroppo questa che sta diventando la normalità deve far riflettere chi riceve la notifica di un atto pregiudizievole e definitivo.
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