La recente sentenza della Corte d’Appello de L’Aquila ha fatto molto discutere in ordine alla esistenza o meno di un obbligo di iscrizione alla cassa edile.
È sul sito curato da CNCE DURC.IT che è stata pubblicata questa sentenza (in data 21-07-2021) quasi come prova che l’iscrizione alla cassa edile sarebbe sempre e comunque obbligatoria.
Questa tesi non convince e cercheremo di spiegarne il perché.
Corte di Appello de L’Aquila
Il travisamento della sentenza
Ci siamo voluti calare nel testo della sentenza per verificare se tutte quelle arie giuridiche che ne hanno accolto la portata innovativa avevano un fondamento e quindi vogliamo condividere con i lettori le nostre modeste considerazioni.
Detta sentenza trattando dell’efficacia liberatoria del pagamento degli accantonamenti dovuti alla Cassa Edile direttamente ai dipendenti fa riferimento soltanto a procedimenti di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dalla Cassa; già questo denota che la fonte dell’obbligazione dedotta in sentenza non discende un obbligo generalizzato verso chiunque (erga omnes) bensì un rapporto di delega per una precedente iscrizione da parte del datore di lavoro.
In sintesi si deve sostenere che
L’obbligo di versare accantonamenti e contributi sussiste solo perché il datore di lavoro sì è iscritto alla cassa edile
Pertanto se il datore di lavoro non si iscrive alla Cassa Edile non sembra possibile che vi possa essere alcun soggetto legittimato ad obbligarlo, eccetto per i casi espressamente indicati dalla legge (e della cui costituzionalità normativa i dubbi sono certamente da coltivare).
E’ nell’ambito della sentenza de L’Aquila che si legge che “l’impresa opponente aveva inoltrato alla Cassa Edile le denunce mensili dei lavoratori occupati, sulla scorta delle quali era stato chiesto ed ottenuto il decreto ingiuntivo opposto; ed aveva inoltre sottoscritto la dichiarazione apposta in calce alle stesse, obbligandosi ad applicare il CCNL in vigore ed i relativi Accordi Provinciali per gli operai edili ed affini”.
Stando così le cose la questione assume una connotazione certamente meritevole di riflessione soprattutto nella parte della sentenza stessa in cui la Corte “ha ritenuto che gli accantonamenti per le prestazioni di Cassa Edile – per ferie, gratifica natalizia, riposi annui e festività infrasettimanali non potessero essere versati alla Cassa stessa, dal momento che questa era l’unica creditrice dei suddetti importi nei confronti dell’impresa e non i lavoratori interessati; dovendo pure considerarsi che gli accantonamenti de quibus avevano natura previdenziale, sicché di essi né il datore né i lavoratori potevano disporre: detta indisponibilità, invero, derivava dalla necessità dell’assolvimento dei compiti cui la Cassa Edile era preposta in forza dell’autonomia collettiva e per il suo stesso funzionamento”.
Di particolare interesse appare un rapidissimo confronto con la sentenza della Corte d’Appello di Bari , sez. lav. , 20/08/2003 secondo la quale “la Cassa Edile, pur agendo come mandataria-intermediaria per conto del lavoratore, non perde la propria autonoma legittimazione ad agire nei confronti del datore di lavoro inadempiente al fine di ottenere il versamento delle somme da accantonare sulla retribuzione secondo gli obblighi contrattuali assunti direttamente dallo stesso datore nei confronti della Cassa; e ciò al di là della prova dell’effettiva erogazione (quale anticipazione) ai lavoratori delle provvidenze per le cui contribuzioni il datore è tenuto”.
Anche in questa sentenza si precisa che il datore di lavoro “aveva inoltre sottoscritto la dichiarazione apposta in calce alle stesse, obbligandosi ad applicare il CCNL in vigore ed i relativi accordi Provinciali per gli operai edili ed affini.
Sicché, da tale dichiarazione si evinceva la sostanziale volontà dell’impresa di assoggettamento alle fonti collettive disciplinanti la materia- il CCNL di settore di volta in volta vigente sanciva il principio dell’obbligatorietà dei versamenti sia degli accantonamenti che dei contributi alla Cassa Edile come pure allo Statuto ed al Regolamento della Cassa Edile e, di conseguenza, la responsabilità per l’inadempimento dell’impegno negoziale assunto nei confronti della Cassa stessa e relativo al versamento dei prescritti oneri contributivi”.
Non diversamente soccorrono le considerazioni del Tribunale di Ivrea (sentenza 3 agosto 2006)il quale si è espresso nel senso che in caso di mancato versamento di contributi alla Cassa edile da parte del datore di lavoro, legittimati alla richiesta di pagamento sono sia la Cassa che il lavoratore.
Secondo il medesimo Tribunale il lavoratore è titolare di un diritto qualificabile come retributivo mentre la Cassa edile agisce quale delegata di pagamento verso il lavoratore e lo sarebbe anche in assenza di versamenti da parte del datore.
Me su quest’ultima questione (ovvero sulla titolarità del diritto) i contrasti sono veramente notevoli e non sembra vi siano dubbi (da parte del predetto Tribunale) sul fatto che le Casse Edili sono legittimate ad esigere dal datore non solo i contributi dei quali esse sono titolari, bensì le somme relative agli accantonamenti anche se non versate dal datore solo nei casi in cui il datore di lavoro si è iscritto accettando tutte le clausole imposte dal sistema che ne caratterizza l’adesione.
Gli obblighi delle casse edili nei confronti del lavoratore iscritto ed il mancato rispetto del principio di automaticità delle prestazioni
L’art.lo 2116 del codice civile afferma che le prestazioni sono dovute al prestatore di lavoro, anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza.
Tuttavia non si sono rinvenuti precedenti che attribuiscono alle casse edili personalità giuridica al punto da considerarle, a tutti gli effetti e verso tutti i soggetti con efficacia erga omnes, “istituzioni di previdenza e di assistenza” agli effetti di legge.
Anzi, tutta la giurisprudenza afferma che se il datore di lavoro non ha pagato la cassa edile questa non è tenuta a pagare il lavoratore.
Non si capisce però perché si tende a riconoscere alla cassa edile la possibilità di pretendere dall’impresa iscritta sia l’accantonamento che il contributo mentre si garantisce il pagamento del lavoratore solo dopo il versamento da parte dell’impresa.
In altre parole se si concede alla cassa edile lo strumento dell’esigibilità si dovrebbe garantire anche il lavoratore. Resta infine scoperto anche il periodo pregresso nel corso del quale il lavoratore non inquadrato certamente non ha potuto fruire delle prestazioni (ammesso che siano effettivamente fruibili) della cassa edile atteso che in quel caso anche il contributo per cassa edile (circa il 10% della paga lorda dell’operaio edile) diventerebbe una sorta di finanziamento a fondo perduto.
Infatti in assenza di una previsione di automaticità delle prestazioni la tardiva copertura contributiva rimane priva di senso.
Tutto questo dovrebbe far riflettere sulla genuinità dell’antiquato sistema delle casse edili nato al tempo in cui l’INPS non erogava la cassa integrazione per pioggia e gli operai si spostavano in regioni lontane per mesi e mesi avendo quindi l’esigenza di qualcuno che mettesse da parte per loro un pò di denaro) tenuto in piedi soprattutto a causa degli ingenti interessi economici e posizioni di privilegio che genera a favore di molti, ma certamente, a fronte dei costi per l’impresa (del 10% oltre contributi INPS), non a favore degli operai.
Casse Edili o … organismi sindacali spuri?
Del fatto che non esiste, nel sistema giuridico del panorama Italiano un onere di destinazione delle risorse contributive (ovviamente l’accantonamento non rileva essendo direttamente attribuito e versato al lavoratore per delega datoriale) si è già detto in altri articoli del sito. Tuttavia appare necessario richiamare brevemente tale constatazione in quanto la rilevante percentuale di circa il 10% della retribuzione lorda spettante ai singoli operai edili non garantisce che una parte di quelle somme vada a beneficio del lavoratore né le casse edili sono tenute a dare effettiva attuazione a quanto divulgato.
Secondo l’art.lo 39 della Costituzione non solo l’organizzazione sindacale è libera (con la specifica che ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge), ma è condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica.
È in particolare quest’ultimo richiamo ad un ordinamento interno a base democratica che lascia perplessi nel caso del sistema che in Italia governa tutto l’ambito edilizio.
Il sistema del DURC, infatti, da anni agisce in senso antidemocratico spingendo le aziende edili ad obbligarsi nei confronti delle casse edili mediante la compilazione dei format di iscrizione con i quali si impegnano ad applicare il contratto collettivo che è stato imposto dal sistema come contratto leader.
Tuttavia tale leadership non deriva dalla libera scelta di adesione ad un sindacato datoriale in quanto il rilevamento della c.d. maggiore rappresentatività normalmente svolto dall’INPS è caratterizzato dalle forzature del metodo di rilascio del DURC che ha attribuito alle casse edili una posizione dominante che non lascia spazio alle imprese di aderire ad altra organizzazione se non quella che ne caratterizza il nucleo.
Considerando che i sindacati ai quali sia stata assegnata personalità giuridica ai sensi dell’art.lo 39 della Costituzione, possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce, qualche riflessione sulla deviazione dei consensi associativi deve essere svolta.
In particolare il sistema di adesione coartata attraverso il DURC sembra violare apertamente l’art.lo 18 della costituzione in virtù del quale i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale.
Orbene, se una azienda edile che aderisce ad una associazione “X” deve, per poter lavorare, necessariamente cedere alle richieste da parte degli enti concessori (si pensi ad un Comune che, per una scia richiede senza lasciare spazi all’impresa ovvero deve dimostrare di essere iscritta alla cassa edile per partecipare ad una gara di appalto) ed effettuare l’iscrizione alla cassa edile obbligandosi quindi ad applicarne il suo CCNL costitutivo e non quello dell’associazione di appartenenza.
Dal momento in cui si afferma che l’iscrizione è obbligatoria e l’iscrizione da statuto è possibile sono impegnandosi ad applicare solo quel contratto collettivo è evidente che i criteri di rilevamento della maggiore rappresentatività su base nazionale risultano non solo falsati, ma addirittura ostativi alla libera circolazione delle adesioni nelle varie associazioni che non sono state accreditate dalla CNCE.
Un problema esiste e prima o poi qualcuno, se vogliamo affermare che l’Italia è un paese democratico e civile, dovrà farsene carico.
Chi dovrebbe occuparsi degli abusi o degli errori della Cassa Edile ?
Il Giudice amministrativo non ha giurisdizione in merito alla controversia relativa alla legittimità del d.u.r.c.
Le casse edili appartengano alla categoria delle associazioni non riconosciute ex art. 36 c.c. e quindi, di regola, non sono soggette alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Secondo la legge 106/2016 art.lo 1 comma 1 “Per Terzo settore si intende il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi.”
L’attività della cassa edile sfugge ad ogni controllo sia pubblico che privato, non è tenuta a depositare i bilanci ed in caso di mancata erogazione delle prestazioni non garantisce neppure la c.d. automaticità delle prestazioni. Però se il datore di lavoro non si inquadra o non paga può agire e le istituzioni si comportano, di fatto, come se iscrizione e versamenti fossero previste da leggi vigenti e, invece, con tutte le riserve di incostituzionalità per alcuni specifici passaggi normativi, così proprio non è.
In realtà questo studio ritiene che nel caso degli organismi che esprimono soggetti come le casse edili ben si possa parlare non tanto di terzo settore (quale è quello associativo no profit disciplinato dalla legge ), ma di qualcosa di diverso che non rientra neppure nel più recente sentir parlare dell’esistenza di un quarto settore .
Le casse edili che teoricamente si pongono sul mercato atteggiandosi ad organismi di livello istituzionale in realtà non sono neppure organismi tenuti a tutelare gli interessi collettivi di una categoria e tantomeno dei lavoratori iscritti alle stesse da parte dei datori di lavoro.
Come si può rimediare ad un errore della Cassa Edile sul DURC ?
Il DURC , quale procedura normata con previsione di specifici passaggi formali, è certamente assistito da pubblica fede ex art. 2700 c.c. e come tale soggetto a fare prova fino a querela di falso.
Oltre a tutta una serie di circolari e norme che subordinano autorizzazioni e legittimità di pagamenti alla regolarità contributiva, ci sono anche anche numerosi incentivi che non è possibile chiedere od ottenere senza il CURC regoalre.
Inevitabilmente gli errori contenuti nel d.u.r.c., possono essere corretti o dal giudice ordinario oppure all’esito di proposizione di querela di falso, oppure instaurando una ordinaria controversia in materia di previdenza, ma spesso non ci sono i tempi per ottenere la correzione del documento. Quindi l’unica possibilità è quella risarcitoria oltre a quella penale quando siano rinvenibili gli estremi della volontaria e dimostrabile fattispecie dell’abuso.
in ogni caso, quando l’erronea attribuzione di DURC irregolare ha provocato un danno effettivo e documentabile, è sempre da prendere in considerazione anche una richiesta di ristoro del danno ovvero il deposito, tramite avvocato, di un ricorso per l’ottenimento di un provvedimento di urgenza art.lo 700 c.p.c. , quindi anche una tempestiva azione risarcitoria.

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