Benefici e legittimità dell’outsourcing


CHE COSA è L’OUTSOURCING ?

Outsourcing

L’outsourcing o esternalizzazione, è quel processo aziendale per il quale una parte delle lavorazioni, dei servizi ovvero delle attività burocratiche aziendali vengono affidati ad un soggetto esterno.

La scelta di cambiare modalità operativa è molto spesso tesa a ottimizzare le risorse interne, concentrandole nel cosiddetto “Core Business”.

Altre volte capita invece che l’esternalizzazione sia volta a rendere più efficiente un servizio. Basti pensare all’importanza che assume per una azienda produttrice di beni, una corretta gestione della logistica ovvero dei trasporti.

L’ottimizzazione discendente dalla specializzazione sempre più estrema, è l’elemento che consente di avere il migliore servizio al minore prezzo sul mercato.

È quindi importante comprendere quali sono i limiti di tale operazione economica ed i possibili benefici di natura economica e non solo.

Legittimità giuridica

L’art.lo 1322 del codice civile stabilisce che “Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge e dalle norme corporative”. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.

Il contratto, quale attività esponenziale del principio di libertà di iniziativa economica prevista e tutelata dall’art.lo 41 della Costituzione, in generale, trova il suo limite nella causa e nel motivo, che devono sempre essere leciti e mai posti in essere in frode alla legge (art.li 1343, 1344 e 1345 del codice civile).

Pertanto si devono distinguere tre momenti rilevanti.

  • La fase di trattativa, in quanto il motivo deve essere lecito;
  • La fase di stipula, in quanto il contratto deve avere una causa lecita ed essere in linea con le norme imperative; comunque non deve essere stipulato in frode alla legge;
  • La fase esecutiva, in quanto eventuali derive applicative potrebbero deviare la qualificazione originaria del rapporto.

E’ evidente che se il motivo della stipula del contratto è legato alla volontà di violare la legge, il contratto perde di valenza giuridica.

Secondo la Corte di Cassazione civile, sez. un., 25/10/1993,  n. 10603    – Gentile  C.  Ciancio Sanfilippo e altro    Giust. civ. Mass. 1993, 1515 (s.m): – “Il motivo illecito – che, se comune ad entrambe le parti e determinante per la stipulazione, determina la nullità del contratto – si identifica con una finalità vietata dall’ordinamento, poiché contraria a norma imperativa o ai principi dell’ordine pubblico o del buon costume, ovvero poiché diretta ad eludere, mediante detta stipulazione, una norma imperativa. Pertanto, l’intento delle parti di recare pregiudizio ad altri, ove non sia riconducibile ad una di tali fattispecie, non è illecito, non rinvenendosi nell’ordinamento una norma che sancisca in via generale, come per il contratto in frode alla legge, l’invalidità del contratto in frode dei terzi, ai quali, invece, l’ordinamento accorda rimedi specifici, correlati alle varie ipotesi di pregiudizio che essi possano risentire dall’altrui attività negoziale.”

L’outsourcing, secondo il concetto organizzativo per il quale viene speso, riguarda una modalità di terziarizzazione di alcune attività lavorative precedentemente svolte dentro l’azienda e la relativa forma di appalto di servizi è riconducibile all’art.lo 1655 c.c. il quale così recita: – “L’appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro.”

Ne consegue che la legittimità dell’appalto dei servizi, rispondente ai crismi di legge e la sua genuinità, costituisce il nodo centrale attorno al quale si deve andare a costruire ogni modello organizzativo e produttivo dell’assetto contrattuale.

Un aiuto di tipo applicativo ed interpretativo ci giunge dal successivo articolo 1668 del codice civile il quale stabilisce che “la materia necessaria a compiere l’opera deve essere fornita dall’appaltatore, se non è diversamente stabilito dalla convenzione o dagli usi”.

Quindi l’osservanza del contratto e la sua corrispondenza al modello giuridico previsto dall’art.lo 1655 del codice civile costituiscono un passaggio ineludibile e fondamentale della procedura.

Un eventuale sconfinamento dal modello contrattualmente certificato potrebbe configurare una fornitura di manodopera certamente interpretabile come semplice somministrazione. Somministrazione che è ammessa solo con specifiche procedure, requisiti ed autorizzazioni ministeriali la cui assenza è portatrice di sanzioni (art. 38 del D.Lgs. n. 81/2015).

Giova precisare, inoltre, che per la sua validità, il contratto di appalto deve essere conforme anche al dettato di cui all’art.lo 26 del decreto n. 81/2008.

Il compimento di un’opera o di un servizio presuppone quindi quel vincolo di totale autonomia gestionale con propria organizzazione di mezzi ed adeguate professionalità, da parte dell’appaltatore, che ne caratterizzano ogni genuinità.

Spesso al fine di cristallizzare quantomeno il punto di partenza di un rapporto di esternalizzazione si procede alla c.d. procedura di certificazione del contratto di cui agli articoli 75 e seguenti del decreto Legislativo n. 276/2003, (sui quali è intervenuto anche l’articolo 30, del Collegato Lavoro – legge 183 del 2010). Tale adempimento costituisce certamente un valido punto di partenza e consente di concentrarsi sulle procedure necessarie al corretto svolgimento delle attività economiche.

Se la certificazione costituisce un solido baluardo formale, il contratto deve comunque essere eseguito nel rispetto dei suoi contenuti.

Infatti l’attenzione della giurisprudenza si concentra molto sulle modalità esecutive del rapporto al fine di determinare con esattezza il referente concreto per i dipendenti utilizzati nell’esecuzione dell’appalto.

Sulla distinzione del contratto di appalto e somministrazione è utile la pronuncia del Tribunale Roma, sez. lav., 04/05/2017,  n. 4082 – Redazione Giuffrè 2017 –

  •        ” Affinché un appalto sia lecito e non si configuri come somministrazione irregolare, è necessario che gravi sull’appaltatore il compito effettivo e sostanziale di organizzare i mezzi necessari per fornire l’opera o il servizio all’appaltante, tenendo conto che, a seconda delle esigenze dedotte in contratto, l’opera o il servizio appaltati possono anche non richiedere rilevanti risorse strutturali o impiantistiche e possono essere realizzati da una genuina impresa c.d. leggera o dematerializzata, in cui l’organizzazione del fattore lavoro sia prevalente sul capitale. In particolare, occorre che l’appaltatore assuma su di sé il rischio dell’impresa, organizzando i mezzi necessari i quali, a seconda del tipo di appalto, possono consistere in beni materiali ed immateriali e lavoro oppure anche soltanto in attività di lavoro”.

Pertanto, se un contratto di appalto viene riqualificato come somministrazione irregolare di manodopera, gli atti di gestione compiuti dall’appaltatore illecito devono intendersi riferiti al soggetto che in concreto ha utilizzato la prestazione lavorativa.

A tale riguardo vedasi per esempio la pronuncia della Cassazione Civile, sez. lav., 13/09/2016,  n. 17969 – Guida al diritto 2016, 40, 36 –

  •        ” Nei casi di costituzione del rapporto di lavoro direttamente in capo all’utilizzatore, “gli atti di gestione del rapporto posti in essere dal somministratore producono nei confronti dell’utilizzatore tutti gli effetti negoziali anche modificativi del rapporto di lavoro, loro propri, ivi incluso il licenziamento, con conseguente onere del lavoratore di impugnare il licenziamento nei confronti di quest’ultimo ai sensi dell’art. 6 della legge 604/1966”.

Ne consegue che la genuinità di un contratto di appalto di servizi, laddove correttamente formato e certificato (da un organismo titolato ai sensi del’art.lo 75 e seguenti del decreto legislativo n. 276/2003) si fonda sulla stretta osservanza dei suoi contenuti sintetizzabili nell’assenza di ingerenze gestionali sulle maestranze da parte dell’appaltante.

L’osservanza dei contenuti del contratto certificato ed il rispetto dei parametri legali e contrattuali di autonomia, possono consentire quindi di evitare sia richieste di costituzione di rapporti di lavoro direttamente in capo al committente da parte del lavoratore (art.li 38, 39 e 80 del decreto 276/2003), sia l’applicazione delle sanzioni di cui all’art.lo 18 del decreto Legislativo n. 276/2003 e dell’art.lo 1 comma 6 del Decreto Legislativo n. 8/2016.

Al riguardo il Ministero del Lavoro ha pubblicato sul suo sito gli aggiornamenti per spiegare cosa sono le certificazioni dei contratti.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, inoltre, con la circolare 1 giugno 2018 n. 9, ha fornito indicazioni al personale ispettivo in merito ai controlli iniziati sia prima che successivamente alla presentazione di una istanza di certificazione del contratto.

In caso di controllo iniziato successivamente alla presentazione dell’istanza di certificazione del contratto il personale ispettivo potrà svolgere la propria attività dei cui esiti dovrà tenere conto la commissione di certificazione.

La circolare prevede anche che se nel corso della verifica ispettiva venga esibita dalla parte la certificazione di un contratto di lavoro o di appalto, i relativi effetti permangono, anche verso i terzi, fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 80 del D. Lgs. n. 276/2003, fatti salvi eventuali provvedimenti cautelari del giudice che anticipino l’esito del giudizio sul merito.
In tal caso, qualora, al termine dell’attività di vigilanza, siano stati rilevati vizi riconducibili
all’erronea qualificazione del contratto ovvero alla difformità tra il programma negoziale
certificato e la sua successiva attuazione, il personale ispettivo deve adottare nel  redigere il verbale conclusivo alcuni accorgimenti. In particolare, il verbale conclusivo deve recare, in relazione al disconoscimento dei contratti certificati (sia di lavoro che di appalto), l’espressa avvertenza che l’efficacia di tale disconoscimento (applicazione delle sanzioni ed eventuali altri effetti derivati) è condizionata al positivo espletamento del tentativo di conciliazione obbligatorio presso la Commissione di certificazione oppure, in caso la stessa non riuscisse, all’utile proposizione delle impugnazioni previste dall’art. 80 del D. Lgs. n. 276/03. Infatti, chiunque intenda presentare un ricorso giurisdizionale contro la certificazione al giudice del lavoro, deve previamente rivolgersi alla medesima commissione di certificazione che ha adottato l’atto di certificazione per espletare un tentativo di conciliazione in base all’articolo 410 del Codice di procedura civile; la comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i 20
giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.

Dal punto di vista operativo, l’ufficio che ha condotto gli accertamenti deve procedere, una volta acquisito il regolamento interno di funzionamento della Commissione che ha disposto la certificazione, ad esperire presso quest’ultima il tentativo obbligatorio di conciliazione in conformità alle procedure indicate nel medesimo regolamento.

Nel caso in cui tale Commissione non sia nel territorio di competenza dell’Ufficio che ha condotto gli accertamenti quest’ultimo delega formalmente l’Ispettorato ubicato ove ha sede la Commissione, al deposito della richiesta di tentativo di conciliazione ed alla partecipazione alla relativa riunione, avendo cura di trasmettere una dettagliata relazione con allegata tutta la documentazione di interesse.

Dopo che sia stato infruttuosamente esperito il tentativo di conciliazione, è possibile per l’organo di vigilanza promuovere ricorso al giudice del lavoro ex art. 413 c.p.c. o al tribunale amministrativo regionale. Al riguardo si rammenta che a mente dell’art. 21 del D. Lgs. n. 251/2004 “I dirigenti, o i funzionari da essi delegati, delle Direzioni provinciali del lavoro, incaricati della rappresentanza nei giudizi di opposizione ai sensi degli articoli 22 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689, rappresentano e difendono, nell’ambito delle attività istituzionali dell’Amministrazione e senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali nei giudizi di cui all’articolo 80 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.”

Per dare risalto alle differenze tra contratto genuino e non genuino è opportuno quindi insistere nel porre l’accento sulla necessità che da parte del committente appaltante non vi siano ingerenze sul personale dell’appaltatore in quanto è prassi che in ogni accertamento ispettivo o giudiziale, subito dopo il dato contrattuale e formale, vengano sempre presi in considerazione i soggetti che, materialmente, danno le direttive al personale oggetto di appalto di servizi.

La tipica domanda fatta dal Giudice o dall’ispettore al lavoratore è la seguente:

– “… si, ma lei da chi prendeva le direttive?

  • chi le forniva i mezzi di lavoro e l’abbigliamento?
  • e chi le diceva cosa e come fare?
  • chi doveva avvisare ed a chi doveva chiedere di arrivare più tardi al lavoro?
  •  chi l’autorizzava per la fruizione dei permessi e delle ferie?”

In caso di corretto svolgimento del rapporto di outsourcing la risposta alle predette domande da parte dei lavoratori inviati in esecuzione dell’appalto farà riferimento al proprio datore di lavoro e cioè la società ovvero la cooperativa che ha in gestione il servizio o la lavorazione.

E’ inoltre fondamentale, alla luce del regime normativo di solidarietà previsto dall’art. 29 del D. Lgs. 276/2003, che il committente sia contrattualmente rassicurato sulla costante possibilità di verificare sia l’adeguatezza delle retribuzioni che il regolare versamento dei contributi.

Tale auspicabile previsione di garanzia, alla luce dei noti casi di eccesso di ribasso, deve porre l’accento sulla scelta delle controparti, che per un sereno svolgimento del rapporto dovrà tenere conto non solo del costo del servizio, ma anche e soprattutto dell’affidabilità, della serietà e trasparenza dell’azienda contraente.