Il lavoratore italiano che si imbarca su nave battente bandiera estera in quale nazione deve pagare le tasse se la nave staziona per lungo tempo in Italia?
Questa è la domanda che tanti si fanno alla luce di una recente sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di Lucca.
Facciamo il punto cominciando dal Codice della Navigazione
Occorre partire dal Codice della Navigazione per comprendere le particolarità che presenta il settore della nautica e soprattutto la funzione del comandante.
L’articolo 318 del codice della navigazione stabilisce che l’equipaggio delle navi nazionali armate nei porti della Repubblica deve essere interamente composto da cittadini italiani o di altri Paesi appartenenti all’Unione europea e che (con la modifica apportata dall’art.lo 5 della legge 16 marzo 2001 n. 88) ora si può derogare attraverso accordi collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente piu’ rappresentative a livello nazionale.
Per i marittimi di nazionalita’ diversa da quella italiana o comunitaria, imbarcati in conformita’ a quanto previsto dal presente comma, non sono richiesti visto di ingresso nel territorio dello Stato, permesso di soggiorno e autorizzazione al lavoro anche quando la nave navighi nelle acque territoriali o sosti in un porto nazionale.
Nei porti esteri, in ogni caso, se non disponibili marittimi o personale navigante di nazionalità italiana, possono essere assunti stranieri in misura non superiore ad un quarto dell’intero equipaggi e per il solo tempo necessario al viaggio da compiere (Art.lo 319 cod. Nav.ne).
Il sistema lavoro della gente di mare è governato da regole attraverso le quali le autorità marittime hanno una certa incidenza tanto che non solo l’arruolamento degli iscritti nelle matricole della gente di mare, destinati a far parte dell’equipaggio, deve, nei casi e con le modalita’ prescritte da leggi e regolamenti, essere preceduto da visita medica diretta ad accertare l’idoneita’ della persona da arruolare in rapporto al servizio cui deve essere adibita, ma addirittura “il contratto di arruolamento deve, a pena di nullita’, essere fatto per atto pubblico ricevuto, nel Regno, dall’autorita’ marittima, e, all’estero, dall’autorita’ consolare” (Art.lo 328 Cod. Nav.).
Secondo quanto previsto dall’art.lo 5 della predetta legge 16 marzo 2001 n. 88 “nella tabella di armamento della nave e’ posta annotazione dei componenti dell’equipaggio per i quali, ai sensi del comma 2 dell’articolo 318 del codice della navigazione, nonche’ ai sensi degli accordi di cui ai commi 1 e 1-bis del presente articolo, non e’ richiesta la nazionalita’ italiana o comunitaria.
L’autorita’ marittima, qualora non ricorrano motivi particolari o di forza maggiore, nega le spedizioni alla nave il cui equipaggio sia composto non in conformita’ alla annotazione stessa. Per i marittimi di nazionalita’ diversa da quella italiana o comunitaria, imbarcati in conformita’ a quanto previsto nella tabella di armamento della nave, non sono richiesti visto di ingresso nel territorio dello Stato, permesso di soggiorno e autorizzazione al lavoro anche quando la nave navighi nelle acque territoriali o sosti in un porto nazionale”.
E’ anche previsto che il comma 8-bis dell’articolo 48 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, introdotto dall’articolo 36, comma 1, della legge 21 novembre 2000, n. 342, deve interpretarsi nel senso che per i lavoratori marittimi italiani imbarcati su navi battenti bandiera estera, per i quali, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, e dell’articolo 5, comma 3, del decreto-legge 31 luglio 1987, n. 317, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 1987, n. 398, non e’ applicabile il calcolo sulla base della retribuzione convenzionale, continua ad essere escluso dalla base imponibile fiscale il reddito derivante dall’attivita’ prestata su tali navi per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di dodici mesi. I lavoratori marittimi percettori del suddetto reddito non possono in alcun caso essere considerati fiscalmente a carico e, se richiedono prestazioni sociali agevolate alla pubblica amministrazione, sono comunque tenuti a dichiararlo all’ufficio erogatore della prestazione, ai fini della valutazione della propria situazione economica.
Nasce così il problema di capire se e quando il lavoratore italiano che esercita la sua attività su nave che batte bandiera estera deve pagare le tasse in Italia.
Di solito si ragiona in termini di permanenza sul territorio nazionale attraverso il contagiorni con il criterio del + o – 183.
Tuttavia, quando la nave staziona sul territorio nazionale la questione del dove pagare le tasse si fa più stringente ed altrettanto stringenti si fanno i controlli da parte della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate.
La questione può investire il personale marittimo di nazionalità italiana quando la nave deve stare in un porto nazionale per lunghi periodi nel corso dei quali le autorità fiscali maturano la convinzione di poter chiedere il pagamento secondo i canoni nazionali ignorando la bandiera estera.
Il caso della sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di Lucca n. 121 del 9 marzo 2023
Il comandante di uno Yacht si è visto recapitare l’avviso di un controllo nel corso del quale ha rappresentato le sue ragioni, la sua funzione di responsabilità e comando anche quando lo stazionamento appare non funzionale.
L’agenzia delle Entrate, tuttavia, ha ritenuto sussistere l’obbligo di pagare le tasse in italia e quindi si è innescato il giudizio davanti agli organi di giustizia tributaria.
Il ricorrente ha rappresentato che il ruolo di comandante prevede una lunga di serie di attività che vanno ben oltre la navigazione, cioè che si è comandanti, quindi lavoratori marittimi imbarcati, anche se la nave non è in mare o anche se la nave non sta navigando e che il lavoratore marittimo, avendo un orario e un luogo di lavoro, una volta espletate le sue mansioni, può scendere sulla terraferma e ciò non lo priva della qualifica di lavoratore marittimo.
Questa e le altre ragioni non sono state sufficienti a fargli avere ragione in quanto il collegio giudicante ora denominato Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, terza sezione di Lucca ha così motivato la sua sentenza n. 121 del 2023.
Secondo la Corte in linea generale occorre premettere che il reddito di lavoro dipendente prestato all’estero conseguito da un soggetto fiscalmente residente in Italia dal 1 gennaio 2001 deve essere assoggettato a tassazione in Italia in virtù del principio della tassazione su base mondiale (il “worldwide taxationprinciple“) previsto dall’art. 3 del T.U.I.R.;
nel caso in cui il lavoro prestato all’estero superi i 183 giorni si assiste ad una tassazione concorrente tra lo Stato della fonte del reddito e lo Stato di residenza fiscale del lavoratore;
in deroga alle disposizioni generali di tassazione del reddito di lavoro dipendente, il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale.
La disciplina generale sopra sinteticamente ricostruita viene superata dalla disciplina speciale introdotta dall’alt. 5, comma 5, della L. n. 88 del 2001 con riferimento ai lavoratori marittimi italiani imbarcati su navi battenti bandiera estera per i quali non è applicabile la retribuzione convenzionale se il reddito deriva da attività prestate su tali navi per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di 12 mesi.
L’Agenzia delle Entrate, con la Circolare 55/e del 20/06/2002 , ha chiarito la parificazione dei lavoratori marittimi imbarcati su navi battenti bandiera estera per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di 12 mesi con i lavoratori dipendenti che nell’arco dei 12 mesi soggiornano in uno Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni.
Questa parificazione viene tuttavia delineata con l’unica differenza che in quest’ultimo caso il reddito percepito è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite, mentre nel caso dei lavoratori marittimi, ancor più favorevolmente, è del tutto escluso dalla base imponibile fiscale. Questa distinzione non è un aspetto di poco conto.
Con l’esplicito richiamo all’art. 48 (ora 51), comma 8bis del TUIR si chiarisce pertanto ulteriormente che l’agevolazione concessa ai lavoratori marittimi è strettamente dipendente dall’attività da essi prestata a bordo di navi battenti bandiera estera, assimilandosi tale circostanza ad una prestazione lavorativa svolta in un paese estero, seppur con un regime fiscale ancora di maggior vantaggio.
Tutto ciò premesso, l’esame della documentazione in atti allegata alle memorie. risultata dirimente in merito alla questione posta.
In particolare dall’esame del documento denominato ‘logbook 2016 -(un diario di bordo dell’armatore tenuto sotto forma di foglio excel con annotazioni personali dell’armatore stesso) si rileva la seguente circostanza (confermata anche dal ricorrente nel corpo delle memorie stesse): l’imbarcazione -è stata messa in acqua presso il cantiere nell’aprile 2016 e definitivamente rientrata il 14/09/2016.
Nello stesso diario di bordo viene indicata la data del l 7/09/2016 come data di fine stagione 2016 (“The end 2016) e, infine, sia il diario di bordo che altra documentazione comprovano che in data 06/10/2016 l’imbarcazione è stata tirata su dall’acqua a testimonianza del fatto che in corrispondenza di tali date l’attività di navigazione della nave è completamente cessata.
L’esito della sentenza 121/2023
Ad avviso della Corte in entrambe le due fattispecie l’attività prestata a bordo da parte del ricorrente è stata inferiore ai 183 giorni previsti dalla normativa e quindi ha giudicato corretto I ‘operato dell’Amministrazione Finanziaria che ha ritenuto che la somma di Euro 419,78, in quanto compenso per attivita’ svolta dal ricorrente in qualita’ di comandante dell’imbarcazione, sia assoggettata a dichiarazione reddituale a prescindere dal luogo ove essa si e’ svolta.
La decisione non convince e sicuramente la sentenza sarà appellata, ma il dato giudiziale attuale è questo.
Leggi la sentenza

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